anita hartig e jean françois Borras

Faust bifronte

 di Andrea R. G. Pedrotti

Un buon cast e complessi artistici eccellenti per l'opera di Gounod a Vienna, ma l'altra faccia della medaglia sono una messa in scena insipida e una concertazione poco convincente.

VIENNA, 25 marzo 2017 - Faust di Charles Gounod è andato in scena alla Wiener Staatsoper in una produzione dalle due facce: felice per le masse artistiche e gli interpreti vocali, ma molto deludente per quanto riguarda l'allestimento.

Per un soggetto tratto da uno dei testi totemici della letteratura mondiale di tutti i tempi, ci si sarebbe aspettato qualcosa più di una regia tratta “da un'idea di Nicolas Joel e Stéphane Roche”, come recita testualmente la locandina. Pensare, in uno dei teatri più importanti del mondo, di affidarsi a una linea drammaturgica ispirata a “un'idea” (che non si è vista) pare quantomeno azzardato. Poteva essere interessante l'impianto scenico di Andreas Reinhardt e Kristina Siegel, che prevedeva lo spostamento di alcuni pannelli scenici e alcuni giochi di luce, tuttavia non sempre efficaci e sovente scontati. Poco uniformi anche i costumi (il cui ideatore non è citato nella locandina distribuita) che, alla prima scena, parrebbero richiamare a un'ambientazione filologicamente inquadrata nell'epoca del testo di Goethe, mentre, poco dopo, si passa a una metà Ottocento per i borghesi e a delle divise dei primi venti, trent'anni del Novecento per i soldati.

Se esiste un aspetto che lega tutte le versioni delle opere tratte dal Faust di Goethe, è l'importanza dell'evento traumatico della fine umana di Margarete (il titolo che in Austria e Germania molti ancora danno all'opera di Gounod), che scatena il turbamento e la fine di Faust, colpevole di esser stato, a causa del suo insano desiderio di giovinezza, forza scatenante della distruzione di una donna e del frutto della loro unione carnale. L'infanticidio del figlio di Marguerite è quasi totalmente ignorato in questa produzione e ciò è un errore gravissimo. Il gusto di Gounod è pienamente francese, poiché, nella visione culturale cristiana transalpina, il centro delle pulsioni umane è il sacrificio: infatti è il martirio della giovane a redimere Faust e a sconfiggere il demonio. In Goethe Margarete è un importante (forse il più importante) ingranaggio del meccanismo che porterà alla sconfitta di Faust, di Mefistofele e dell'umanità intera, che però avrà la consapevolezza della sostanza della vita. Gounod presenta una possibile soluzione agli atti del demonio, grazie alla madre generatrice che purifica se stessa e chi la circonda con il suo stesso sangue, lordato da una serie di infamie. È diversa da Medea, che si vendica, ma non si pente. Margarete si strugge e si distrugge. La sua centralità nell'opera è palese, ma questo è sfuggito alla regia.

Jean-François Borras si trova perfettamente a suo agio nei panni del personaggio di Faust. L'Ottocento francese è certamente il suo repertorio d'elezione: il fraseggio e lo squillo sono ottimamente conformi allo stile della partitura di Gounod. La sua interpretazione di “Salut! Demeure chaste et pure..” supplisce per intensità a una certa insipienza scenica, causata dall'inconsistenza della regia. Faust non viene per nulla caratterizzato visivamente e anche nella seduzione di Marguerite sembra di assistere a un corteggiamento di un ragazzotto di campagna a una contadinella, senza che nulla del dramma successivo venga a galla. Unica interazione fra i due è un gioco con uno scialle della giovane.

Luca Pisaroni certamente non ha il colore vocale, né il carisma scenico adatto per il ruolo di Méphistophélès. Egli entra in scena da uno squarcio, posto su un telo bianco sul fondo del palcoscenico (dove viene anche celato Faust per esser ringiovanito), abbigliato in cilindro e marsina, tanto da rammentare più un Conte Dracula di qualche datata produzione cinematografica. Le difficoltà vocali si palesano nel rondò “Le veau d'or est toujours debout”, poco incisivo nel fraseggio e affrontato con fatica, forse anche a causa dei tempi fin troppo slentati da parte dellla direttrice d'orchestra Simone Young. Meglio dal terzo atto in poi, quando la resa scenica migliora, anche se permane una lettura eccessivamente mozartiana del ruolo. Sicuramente Pisaroni si è dimostrato professionista serio e musicalmente preparato, ma inadatto al ruolo di Méphistophélès.

Fra i protagonisti, l'unica interprete che sia riuscita a rendere efficacemente il personaggio risulta Anita Hartig (Marguerite). Soprano lirico puro si trova a suo agio specialmente nelle pagine più intense e passionali. Lo strumento vocale viene ben controllato dalla cantante rumena, che riesce a smorzare il suono con precisione, liberando lo squillo con notevole proiezione quando la parte lo richieda. Scenicamente partecipe palesa il carattere della fanciulla, sopperendo alle gravi fra mancanze registiche. Molto brava nelle due arie e, soprattutto, nei duetti dove si trova spesso a primeggiare. Al termine sarà nettamente l'interprete più applaudita.

Valentin, fratello di Marguerite, era interpretato dal bravo Orhan Yildiz. Talvolta il baritono si è trovato in difficoltà nella gestione dei fiati, ma, complessivamente, la sua prova può dirsi positiva.

Eccellente, nel ruolo di Sièbel, è stato il mezzosoprano israeliano Rachel Frenkel, migliore del cast assieme ad Anita Hartig.

La locandina era completata da Clemens Unterreinter (Wagner) e Rosie Aldridge (Marthe).

Eccezionale, al solito, la prestazione del coro della Wiener Staatsoper, che, con una stupefacente interpretazione del finale del II atto, strappa la prima convinta ovazione della serata. Notevole anche il coro dei soldati del IV atto “Gloire immortelle de nos aïeux”.

L'orchestra della Wiener Staatsoper di dimostra, al solito, tecnicamente inattaccabile, forte della sua intensità e della notoria bellezza del suono. La direttrice d'orchestra, Simone Young, dimostra qualche incertezza nel mantenere omogeneità nella linea musicale, mutando troppo di frequente le scelte dinamiche, eccessivamente slentate nel I atto, migliorando al termine del II. Nei successivi tre atti riescono bene duetti e terzetti, mentre permane qualche dubbio sulle scene d'assieme, affrontate con una lettura fin troppo marziale della partitura, in piena controtendenza con quello che avevamo ascoltato, per esempio, in principio del II atto.

Al termine è buona la mole di applausi da parte di un pubblico quasi esclusivamente composto da turisti.