das kongress tantz

Il carillon di Metternich

 di Andrea R. G. Pedrotti

Irresistibile riproposta, alla Volksoper Wien, della scatenata operetta su musiche di Werner Richard Heymann Der Kongress tanzt, dedicata ai retroscena del Congresso di Vienna.

VIENNA 26 marzo 2017 - Che piaccia o no, l'operetta è questione esclusivamente viennese, perché in nessun'altra città al mondo è possibile ritrovare un simile livello qualitativo. Se il compositore non è viennese, ma prussiano, è il soggetto a riportarci nella capitale austriaca. Der Kongress tanzt (Il Congresso si diverte nella versione italiana), incentrato sul contorno di pettegolezzi e sotterfugi che fecero da cornice al celeberrimo congresso che si svolse a Vienna fra la fine del 1814 e il 1815.

Fuorché nel finale del terzo atto, non troveremo walzer, ma un'orchestrazione che è via di mezzo fra la grande tradizione operettistica di Johann Strauss o Franz Lehár, considerata la cospicua presenza di archi, e una strumentazione che pare richiamare alla commedia musicale degli anni '30 e '40 del XX secolo.

La versione andata in scena alla Volksoper si basa su quella del film di Erik Charell del 1931, riadattata da Michael Quast e Rainer Dachselt, con musiche di Werner Richard Heymann, arrangiate da Christian Kolonovits.

La regia della produzione, a firma di Robert Meyer (intendente della Volksoper e interprete del ruolo di Metternich), trasformava il palco in un gigantesco carillon, che ruotava a seconda degli ambienti in cui era necessario trovarsi. L'idea è intelligente, in quanto i varii quadri sono divisi da brevissimi intermezzi musicali e la varietà dei luoghi avrebbe comportato, al contrario, dei cambi-scena fin troppo lunghi e impegnativi.

L'operetta ha principio presso il “Comitato dei festeggiamenti”, al quale partecipano il sindaco di Vienna, una principessa perennemente isterica per le salve di cannone in onore dei potenti giunti in città, una contessa fissata con i pettegolezzi, totalmente disinteressata alla politica, ma ansiosa di conoscere i dettagli sulle vite private di ognuno, e il ministro delle finanze austro-ungarico, costretto a farsi soccorrere di continuo a causa di mancamenti dovuti alle eccessive spese che le casse imperiali sostenevano a fatica. Sul fondo del palco troviamo l'unico elemento scenico onnipresente, ossia un fondale costruito come fosse un paravento con ognuno intento (e questo è tipico del pettegolezzo viennese) a cercar di scoprire ciò che sta accadendo dietro di esso, pur essendo perennemente impossibilitato a vederlo.

La scena ruota e appare la stanza da letto del cancelliere Metternich, che nasconde in un mobile un apparecchio che gli consente di ascoltare tutto ciò che gli intervenuti al congresso e la servitù si confidano in privato (generalmente lamentele e insulti nei suoi confronti). Lì il fido segretario Pepi gli consegna tutti i dispacci congressuali, unitamente a un bizzarro cannocchiale mediante il quale il cancelliere riesce a leggere il contenuto delle missive senza danneggiarne le buste. In quel mentre scopre con disappunto che il re del Württemberg aveva ricevuto in dono dalla commerciante di guanti Christel (segreta fiamma di Pepi) un mazzo di fiori e che il medesimo omaggio era stato fatto ad altri sei potenti. Il quadro successivo presenta proprio la modisteria della giovane affarista Christel (in realtà Christine Antonia Weinzinger), che si presenta al pubblico con le sue aiutanti (interpretate quattro avvenenti ballerine dell'opera di Stato di Vienna), con una sortita che prevede una danza collettiva faticosa, al pari del testo cantato. Qui assistiamo al tentativo di seduzione da parte di Pepi (perpetrato mediante l'impacciata lettura di un libro di poesie), che viene rifiutato dalla modista, seccata dall'insistenza, poiché ella - come afferma senza indugio - è interessata solo agli affari.

Ora siamo negli appartamenti dello zar Alessandro I: anch'egli ha ricevuto un mazzo di fiori da Christel. Lo zar è seduto nello studio con le sue guardia e, al giungere del dono, risolve col fido aiutante Bibikoff che si trattava di un terribile attentato alla sua persona e, per questo, Christel viene condannata (ovviamente con l'invio di alcuni sgherri, poiché siamo a Vienna e non in Russia, perciò lo zar non avrebbe giurisdizione) a venticinque vergate sul nudo fondoschiena.

Tuttavia la situazione cambia repentinamente: lo zar decide di farsi sostituire dal suo sosia (il perennemente ubriaco Uralsky) al gran ballo della Hofburg e sfuggire all'insistente corteggiamento di un'avvenente contessa, inviata da Metternich per carpirgli segreti di Stato grazie all'arte della seduzione. Alessandro si trova a vagare per Vienna in abiti borghesi, fino ad arrivare alla modisteria di Christel, che stava per ricevere la punizione. Egli non può permetterlo, perciò decide di corrompere i suoi stessi uomini. Tale azione è motivata da un'improvvisa, irresistibile, reciproca attrazione fisica fra lo zar (sotto mentite spoglie) e la modista. I due decidono di trasferire le loro effusioni amorose in una bettola poco distante, ma, quando il fresco amante, decide di pagare la cena con una moneta d'oro, la modista confronta l'effige sul lato del disco aureo con il viso dell'uomo che aveva innanzi e comprende di trovarsi alla presenza dello zar Alessandro I. Tutto questo accade con il canto della locandiera inneggiante a Vienna e al vino.

La mattina dopo (e all'inizio del secondo atto), Christel viene portata alla Hofburg da Alessandro e Pepi (ferito nell'orgoglio virile) corre da Metternich per convincerlo che la contessa, e non la modista, sarebbe l'amante ideale per carpire i segreti dell'impero russo. Metternich ne conviene e chiama la contessa, che appare in vesti scompigliate dalle coperte del letto dello stesso Cancelliere, causando l'imbarazzo di Pepi e le risa degli altri due protagonisti.

Christel torna al suo negozio (siamo ovviamente alla scena successiva e il carillon continua a girare) per annunciare trionfante alle sue amiche di esser divenuta la favorita dello zar. Mostra persino loro un fazzoletto con l'effige imperiale, ma in cambio ottiene solo prese in giro e umilianti risate di scherno. La vendetta non tarda ad arrivare, poiché in quel mentre irrompe Bibikoff, per scortare la ragazza dallo zar.

Metternich, grazie ai suoi marchingegni di spionaggio, aveva scoperto ogni cosa e gongola del fatto che lo zar sia impegnato con due amanti (Christel e la contessa) contemporaneamente. In questo modo egli potrà imporre le sue decisioni al congresso che si affretta a convocare. Tuttavia gli intervenuti paiono più interessati al vino e ai piaceri della vita, anziché alla politica, si perde tempo e zar decide di inviare il sosia Uralsky agli appuntamenti galanti, in modo da poter irrompere alla riunione. Nel frattempo (siamo al terzo atto) tutta Vienna freme al racconto delle fughe amorose dello zar, scatenando l'entusiasmo e le speranze delle vivaci abitanti. La povera Christel in tutto questo è sola e affranta nelle sue camere, che ha fatto decorare interamente di rosa (parlando aveva confusione fra “rosa” e “russo”, inghippo possibile in tedesco). Sconsolata caccia Bibikoff che tentava vanamente di insegnarle la lingua russa, ma irrompe, ancora una volta, Pepi che cerca di farle comprendere quanto lo zar si disinteressi a lei. Naturalmente tutti (tranne Bibikoff e lo zar) sono completamente all'oscuro del fatto che ai consessi amorosi talvolta partecipi Alessandro in persona, talvolta il sosia Uralsky (talmente ubriaco da essere totalmente incapace di intendere e volere).

Ora siamo al gran ballo della Hofburg, il punto più dinamico della produzione, grazie al sempre eccellente intervento del Wiener Staatsballett, che anima e feste nel palazzo imperiale. A questo ricevimento la contessa annuncia la decisione di Alessandro di essere caritatevole con la popolazione femminile e di mettere i suoi baci a disposizione. Fra le cinquecento fortunate viennesi, riesce a giungere anche la misera Christel. Lo zar riesce a farsi sostituire da Uralsky per questo gravoso impegno. Il sosia quasi soccombe stremato dalla foga delle fanciulle viennesi, ma, quando sarebbe il turno della triste Christel, irrompe Bibikoff. La cerimonia viene interrotta e la modista si trova di fronte allo zar (quello vero).

Metternich, nel frattempo, convoca un'altra assemblea, con la sua unica partecipazione, e ogni sua mozione viene approvata con entusiasta unanimità dai presenti (solo lui).

Sembra che ogni cosa stia prendendo il giusto verso, ma giunge improvviso un dispaccio che annuncia la fuga di Napoleone dall'isola d'Elba. Tutti i potenti (Alessandro compreso) devono riparare in patria. Christel sola e sconsolata canta: “Das gab's nur einmal, das kommt nicht wieder, das war zu schön, um wahr zu sein!”, cioè “è stato (un sogno) unico, irripetibile, troppo bello per essere vero!”

Poco da dire sugli interpreti, tutti perfetti nei rispettivi ruoli. Dispiace non aver avuto modo di raccontare anche le schermaglie fra i grandi di allora, ma sarebbe stato troppo dispersivo e il consiglio è quello di venire a Vienna per assistere a una delle numerose repliche.

La locandina era così composta: Robert Meyer (Metternich), Michael Havlicek (Pepi), Anita Götz (Christel), Boris Eder (zar Alessandro I \ Uralsky), Thomas Sigwald (Bibikoff), Ildiko Babos (la contessa), Wolfgang Gratschmaier (Wellington), Marco di Sapia (Talleyrand), Axel Herrig (Re Augusto di Sassonia), Bernd Birkhahn (generale von Piefke), Franz Suharada (inviato polacco), Gernot Kranner (inviato svizzero), Agnes Palmisano (cantante nella locanda), Nicolaus Hagg (ministro delle finanze), Fritz von Friedl (sindaco di Vienna), Regula Rosin (principessa), Renée Schüttengruber (contessa pettegola) e Georg Wacks (l'ufficiale atto alla punizione di Christel).

Oltre alla regia di Robert Meyer, vanno citati i bei costumi irreali e atemporali di Gertrude Rindler-Schantl, le scene semplici ed efficaci di Eva-Maria Schwenkel e la dinamica coreografia di Florian Hurler.

L'orchestra della Volksoper Wien era ben diretta da Christian Kolonovits, le comparse erano quelle della Volksoper Wien, l'orchestra di palcoscenico della Wiener Staatsoper e il corpo di ballo era il Wiener Staatsballett. La drammaturgia è stata curata da Helene Sommer.

Grande successo per tutti gli interpreti, capaci di renedere al meglio la riscoperta di questo titolo quasi completamente dimenticato.

Da sottolineare la realizzazione del programma di sala, ben curato nell'analisi dell'operetta e del contesto storico che ha ispirato il soggetto.

foto © Barbara Pálffy/Volksoper Wien