Margarita Gritskova

L'intramontabile Italiana

 di Andrea R. G. Pedrotti

Torna lo storico allestimento firmato da Jean-Pierre Ponnelle con il debutto di Margarita Gritskova come protagonista. 

VIENNA, 29 marzo 2017 - Da molti anni ormai L'italiana in Algeri di Gioachino Rossini è stabilmente nel repertorio della Wiener Staatsoper e da molti anni viene proposta al pubblico nello storico allestimento di Jean-Pierre Ponnelle. Nonostante passi il tempo, la freschezza e l'intelligenza del regista francese risultano intramontabili e seguitano a divertire e a tener desta l'attenzione del pubblico. Le trovate umoristiche sono sostanzialmente immutate negli anni, con qualche piccola variante sfumata, dovuta alle diverse personalità degli interpreti.

La scena tradizionale è impreziosita da un uso delle luci sempre arguto e mai banale, parimenti ai costumi e ai movimenti delle masse che accentuano il carattere dei soli, degli eunuchi, degli italiani, etc senza mai scadere nella caricatura, ma restando ben saldi nell'elegante gusto del repertorio buffo rossiniano.

Rispetto a due anni fa, quando assistemmo allo stesso allestimento sempre alla Wiener Staatsoper [leggi la recensione], la compagnia vocale risulta quasi completamente rinnovata, a eccezione del Taddeo di Paolo Rumetz, che, complice una miglior concertazione, risulta molto più convincente di allora. Scenicamente il baritono triestino appare come l'interprete più a suo agio all'interno dell'allestimento di Ponnelle. D'altra parte ogni volta che L'italiana in Algeri torna sulle scene del massimo teatro austriaco, il ruolo di Taddeo gli viene affidato, in qualità di membro dell'Ensemble locale. Vocalmente non riscontra difficoltà e il fraseggio è gustoso.

Complessivamente migliore del cast è il baritono di scuola boema Adam Plachetka (Mustafà), che, dopo un avvio di carriera in sordina, ma che l'ha portato giovanissimo a calcare i molti fra i più importanti palcoscenici internazionali, convince dal punto di vista interpretativo e doma con tranquillità la parte del Bey algerino. Nel secondo atto il suo Mustafà vira più su un personaggio marcatamente buffo, man mano che occasioni di trasgressione ed evasione libertinagli vengono offerte, fino a un epilogo che lo riporta al carattere iniziale di capriccioso sultano e signore del serraglio.

Meno convincente è il Lindoro di Maxim Mironov, in generale insufficiente nel fraseggio, pecca in squillo e proiezione. Fin troppo statico in scena, risulta anonimo nella cavatina del primo atto “Languir per una bella”, migliora in quella del secondo “O, come il cor in giubilo”, durante la quale ricerca un'accentazione più adeguata, ottenendo una maggior precisione musicale. Al termine l'acuto è ben centrato, ma poco proiettato e, negli effetti, piuttosto flebile.

Al suo fianco troviamo, quale Isabella, Margarita Gritskova (prossima all'esordio concertistico al ROF), che debuttava nel ruolo alla Wiener Staatsoper. La voce della cantante è sicuramente adatta al repertorio, le agilità e la tessitura non le creano difficoltà, il fraseggio e la recitazione sono gustosi. Sicuramente si nota una crescita rispetto allo Smeton che ascoltammo nel 2015 [leggi la recensione], sempre a Vienna. Nell'ottica di un debutto positivo si nota come il mezzosoprano russo non sia ancora pienamente padrona del ruolo, che esegue molto bene nelle sue parti maggiormente insidiose, ma deve ancora affinare nei dettagli e nell'uniformità complessiva di un personaggio sicuramente adatto alle sue caratteristiche.

Come Elvira, il soprano israeliano Hila Fahima (la cui avvenenza fa poco comprendere quali motivazioni spingano Mustafà alla ricerca di una nuova sposa) palesa una grandissima facilità nel sovracuto, a scapito del registro centrale. La sua facilità nelle note più estreme diviene palese nel finale del primo atto, quando i Do di Elvira vengono eseguiti con naturalezza tale da far comprendere chiaramente come la tessitura più comoda alla Fahima sia molto al di sopra di quella delle colleghe che normalmente interpretano il ruolo. Scenicamente è partecipe e il personaggio risulta complessivamente buono.

Nei panni di Zulma, la connazionale Rachel Frenkel, ancora una volta brava e di personalità, conferma, in un ruolo meno impegnativo, la bella impressione che aveva dato come Sièbel nel Faust di pochi giorni fa [leggi la recensione].

Completava il cast in modo pienamente positivo l'Haly di Rafael Frenkel, che interpreta con gusto e precisione l'aria del secondo atto “Le femmine d'Italia” e si dimostra attore disinvolto per tutta la durata dell'opera.

Alla guida dell'orchestra Evelino Pidò concerta con gusto e pertinenza il dramma giocoso rossiniano. Bene, sotto la sua bacchetta, i complessi strumentali della Wiener Staatsoper, uniforme nelle sezioni. Una nota di merito va attribuita al locale ottavino, preciso come sempre più di rado capita di ascoltare in molte orchestre italiane.

Straordinario come sempre (scenicamente e vocalmente) il coro della Wiener Staatsoper: autentico mattatore della serata, gioca, si diverte, interpreta e convince pienamente. Ne ricordiamo il direttore d'occasione, ossia Martin Schebesta.

Al termine il pubblico tributa molti applausi, ma senza l'entusiasmo che avevamo ascoltato in passato nella medesima sala. L'impressione è quella di trovarsi in una fase di interregno (sempre di alto livello esecutivo) fra la gestione (per molti versi artisticamente deludente) di Dominique Meyer e l'insediamento (nel 2020) del nuovo Staatsoperndirektor nominato dal Kulturminister Thomas Drozda, Bogdan Roščić i cui progetti, annunciati in conferenza stampa, appaiono sulla carta promettenti.

foto Wiener Staatsoper / Michael Pöhn