norma a verona

Fissata nel marmo

 di Silvia Campana

Una certa staticità caratterizza Norma al Teatro Filarmonico di Verona sia nella visione scenica neoclassica di Hugo De Ana, sia nelle robuste voci in scena e nella lettura di Francesco Ivan Ciampa sul podio.

VERONA, 27 aprile 2017 - Un'ambientazione neoclassica, dove l'atmosfera suggerita da proiezioni di opere di David e Canova, creava un suggestivo spazio delimitato, nelle sue basilari dinamiche, da due gigantesche colonne, mobili all'occorrenza, era ciò che proponeva il regista Hugo de Ana per questa rinnovata ripresa di una sua passata produzione (2004) di Norma.

Costumi stile impero per le signore e sfavillanti divise da ufficiali francesi completavano un impianto certo sontuoso ed elegante ma che con il periodo artistico scelto condivideva anche una certa rigidità d'impostazione e contenuti.

Anche la tragica fine dei due amanti, non bruciati sul rogo ma trafitti dalle lance (scelta iconografica peraltro già tradita in precedenza da una proiezione del Giuramento degli Orazi e Curiazi di David) non contribuiva a smuovere la piéce né l'animo dello spettatore, al quale ben poco arrivava del significato del fantastico libretto di Felice Romani, così ben delineato e musicalmente cesellato dalla potente partitura belliniana.

Tutto restava così immobile come in una gipsoteca; interessante, bello da vedere ma non di assoluto interesse artistico, se non per gli appassionati del settore.

Purtroppo la medesima staticità riscontrata in scena si rifletteva nell'esecuzione musicale con esiti prevedibili, nonostante la coerenza del linguaggio dello spettacolo venisse ampiamente rispettata.

Il soprano Csilla Boross, impegnata nel ruolo del titolo, non difettava certo del peso vocale che una certa tradizione interpretativa affida a questo ruolo, bensì di un giusto dominio del fiato che le impediva di gestire a dovere  il suo strumento equilibrandone corpo ed espressività e, pur trovando sul piano lirico-interpretativo momenti di buona intensità, il personaggio stentava a emergere con la dovuta completezza.

Professionale e sobrio, il Pollione di Rubens Pellizzari mostrava una linea di canto pulita e un'interessante qualità timbrica, senza però convincere appieno in un ruolo che vocalmente non sembra essere nelle sue corde.

Sostanzialmente corretta Anna Maria Chiuri nel ruolo di Adalgisa che risolveva evidenziando una vocalità morbida dal bel colore unita a un'attenta cura per accento e fraseggio.

Assai interessante anche il robusto Oroveso tratteggiato dal basso Marko Mimica, sia per sensibilità esecutiva, sia per timbro morbido ed omogeneo.

Completavano il cast Madina Karbeli (Clotilde) e Antonello Ceron (Flavio).

Il maestro Francesco Ivan Ciampa, alla guida dell'Orchestra della Fondazione Arena, concertava con diligenza pur non riuscendo a liberarsi da una lettura della partitura dalla patina sostanzialmente monocorde.

Bene si portava il Coro della Fondazione diretto dal M°Vito Lombardi.

Molte le scolaresche e i giovani presenti alla recita, a testimonianza di una continuativa attenzione da parte della Fondazione nei riguardi di quella parte di pubblico che, curioso verso l'affascinante mondo teatrale come ogni giovane neofita, potrebbe far girare le sorti del teatro, riportandolo al contatto con quel territorio verso il quale, nel corso degli anni, aveva perso credibilità e carisma.

foto Ennevi