la bohème a trapani

La bohème novecentesca

 di Giuseppe Guggino

Una Bohème di sicuro successo, nell’allestimento sovraccarico di Stefania Panighini, chiude il 69° Luglio Musicale Trapanese. Omogeneo il cast e buona la prestazione dei complessi.

Trapani, 10 agosto 2017 - Recensendo il repêchage di un titolo scarlattiano negli anni ’40 del secolo scorso, Alberto Savinio osservava come nei «tentativi di far rivivere i morti bisogna dunque accentuare il rossetto sulle gote e sulle labbra». Oggi, specularmente, si potrebbe invece notare come titoli di collaudatissimo repertorio – nel novero dei quali è indubbio includere La bohème – mal supportano sovraccariche declinazioni e aggiunte non indispensabili. E l’osservazione farebbe perfettamente al caso dello spettacolo, pur complessivamente funzionante, confezionato da Stefania Panighini per il 69° Luglio Musicale Trapanese. Una bella iniezione di vitalità e un teatralissimo contrasto alla serata imprime il calcar la mano sulla goliardia dei quattro coinquilini nel primo e all’inizio del quarto atto, tuttavia alla lunga un’incessante ipertrofia di colori, corroborata nel secondo atto dalle coreografie di Patrizia Lo Sciuto, risulta persino eccessiva e straniante, anche a causa di innumerevoli licenze nella lettura del libretto; una su tutte l’inizio con Marcello-Modigliani intento a dipingere un ritratto mentre il testo intonato lo vorrebbe “assiderato” da un assente Mar Rosso. Anche l’idea certamente troppo didascalica e teatralmente non vincente di mostrare nel primo e quarto atto la stanza di Mimì – per la verità più una casa di bambole che la modesta camera di una sartina – a volte co-abitata da una sua controfigura attrice, risulta nei fatti una sorta di depistaggio, non foss’altro perché da lì a poco il libretto impone il dover sentire «vivo sola, soletta».

Di questa ambientazione dadaista, in fin dei conti, rimangono il frastuono cromatico e i ben tre intervalli di cambio per le scene di Andrea De Micheli (costumi di Tatiana Lerario e luci di Daniele Naldi) che finiscono con lo spingere la durata della soirée quasi verso quella di un Parsifal.

Dei tre titoli maggiori proposti in questa 69a edizione, nonostante le tante complicazioni della scrittura pucciniana, qui i complessi riescono forse al meglio delle proprie possibilità, a onta di qualche attacco fallace registratosi al primo atto e di qualche deragliamento degli ottoni: segno che l’orchestra “stagionale” darebbe frutti migliori se fosse tenuta insieme con maggiore continuità e da mani di sicuro mestiere. Mestiere che non difetta a Nikša Bareza, capace – nonostante scelte agogiche talvolta poco coerenti – di condurre in porto la serata senza troppi danni.

Sorvolando sulla Mimì di Valentina Boi, annunciata indisposta, della quale però non può non segnalarsi il bel timbro, deve rilevarsi la sostanziale omogeneità del cast su cui emerge la compostezza e la morbidezza del Marcello di Fabio Capitanucci. Di buon livello il Rodolfo di Danilo Formaggia, privo di punta, e quindi poco premiato negli slanci espressivi nonostante il tangibile impegno profuso. Dei giovani Schaunard e Colline, rispettivamente di Michele Patti e Andrea Patucelli, occorre segnalare, per il primo, la necessità di un maggiore assestamento di un materiale certamente interessante e, per il secondo, l’esigenza di maggiore fuoco nell’intonazione. Spigliata, vibrante (anche troppo, dal punto di vista strettamente vocale) Larissa Alice Wissel nei panni di Musetta.

Angelo Nardinocchi è un veterano per i due ruoli da caratterista a cui si affianca il Parpignol di Andrea Schifaudo, qui molto più convincente che non come messaggero nella recente Aida.

Al meritato apprezzamento per il Coro del Luglio, istruito da Fabio Modica, occorre aggiungere quello per le voci bianche “Carpe diem” di Roberta Caly.

Sul calare del sipario di questa 69a edizione della rassegna, confermato il trend di crescita degli ultimi anni, non possono mancare gli in bocca al lupo per un auspicabile e decisivo salto di qualità per il 70° dell’anno prossimo.