sonya yoncheva, jonas kaufmann

L'attualità delle origini

 di Luis Gutierrez

Entusiasma senza riserve il Don Carlos all'Opéra di Parigi sia per la sorprendente attualità e intensità della messa in scena, sia per l'eccellenza degli interpreti.

español

leggi anche le opinioni di Gustavo Gabriel Otero sulla recita del 13/10/2017

PARIGI, 25 ottobre 2017 - I biglietti per le prime sei, di dieci, recite della nuova produzione di Don Carlos all'Opéra National de Paris, sono andati esauriti non appena messi in vendita a causa dell'annuncio di un cast fra i più spettacolari e difficili da riunire che si possano vedere oggi. Alcuni di questi interpreti da soli basterebbero a riempire un teatro delle dimensioni dell'Opéra Bastille; uniti fanno di questa la produzione operistica dell'anno a livello mondiale. Inoltre, Philippe Jordan ha optato per la cosiddetta "versione 1866", vale a dire quel che Verdi scrisse prima dell'inizio delle prove, naturalmente su libretto francese, e che ha tagliato o modificato dopo la generale, la prima o la seconda recita. Non si è inserito il balletto, del pari non composto da Verdi in questo momento. Tra l'altro questo spettacolo celebra i centocinquant'anni dal debutto assoluto dell'opera, l'11 marzo 1867.

La messa in scena diretta da Krzystof Warlikowski sposta l'azione dal sedicesimo secolo alla Spagna degli anni '50 del ventesimo, un'altra epoca in cui il potere dello Stato, la dittatura di Franco, e della Chiesa, attraverso l'Opus Dei, sono stati tanto assoluti e intolleranti quanto nel Seicento. A mio parere, l'attualizzazione non solo è verosimile e non contraddice le "intenzioni" di Versi, ma risulta perfino brillante, nel trattare un tema attuale. È chiaro che il regista non poteva aspettarsi o sapere che quando il suo lavoro sarebbe andato in scena le condizioni politiche in Spagna avrebbero fatto sì che si associassero le Fiandre alla Catalogna, ma l'effetto è stato questo.

Malgorzata Szczesniak ha firmato scene e costumi ottenendo un magnifico risultato. I costumi corrispondono alla moda degli anni 1950; la scena, apparentemente semplice, simula nel primo atto un museo in cui il coro interpreta i visitatori che ammirano la regalità esposta, ritirandosi nei momenti intimi, come nel duetto fra Carlos ed Élisabeth per rientrare nel momento pubblico di crisi quando la Principessa di Francia decide, contro la sua volontà, di divenire Regina di Spagna. 

La prima scena del secondo atto è dominata da una struttura che presenta un'elaborata gelosia, attraverso la quale cantano i monaci nel monastero di Saint-Just; questo spazio diviene una sala d'armi, non un giardino, in cui le dame di corte si esercitano nella scherma, elemento eccezionale per quella sorta di divertissement che è la Canzone del velo. Nel medesimo ambiente si svolge il resto del quadro.

La gelosia indietreggia nella prima scena del terzo atto e l'incoronazione con l'auto-da-fé si svolgono in un anfiteatro che suggerisce la cavea di un parlamento. Il Grande Inquisitore/ Escrivá de Balaguer è presente e sorride di scherno mentre benedice l'unico condannato prima dell'esecuzione. 

La prima scena del quarto atto si svolge in un contenitore che potrebbe essere una sala da esposizioni privata, nella quale entrano Philippe ed Eboli dopo aver avuto un incontro sessuale all'apparenza soddisfacente, almeno  per lei a giudicare dalla sua espressione e al piacere mostrato nel fumare e sniffare cocaina. C'è chi potrà esser scioccato da questa scena, ma io ho trovato affascinante ascoltare la grande aria di Philippe intonata dopo aver consumato l'infedeltà nei confronti della Regina. La discussione fra Philippe ed Élisabeth intorno al cofanetto delle gioie della Regina è violenta, il Re tenta di strangolarla, fermato dall'intervento di Rodrigue. Le indicazioni registiche qui sottolineano che, almeno in questa versione, la Regina abbandona la sala lasciando Eboli sola finché Lerme non entra per comunicarle la decisione della sovrana di condannarla all'esilio o al convento, non potendole perdonare l'infedeltà del suo sposo. Normalmente vediamo la Regina comunicare direttamente la sua decisione alla Principessa. Il secondo quadro rappresenta il carcere dell'Infante, in uno spazio ridotto che lascia la maggior parte alla morte di Posa e al tentativo di'insurrezione. Il regista dà un altro tocco psicologico mostrando Eboli che ruba un bacio a Philippe, e non a Carlos, prima di partire in esilio.

Il quinto atto torna al quadro iniziale del secondo. Nel finale, dopo il processo sommario contro Don Carlos presieduto dall'Inquisitore, Carlo V esce dal chiostro per salvarlo. L'imperatore è rappresentato come un vecchio decrepito e pluridecorato, che potrebbe ben appartenere a una delle famiglie reali cui gli spagnoli son tanto affezionati.

Le luci, disegnate da Felice Ross, distinguono quel che c'è da distinguere e lasciano in ombra quel che in ombra deve stare. Denis Guéguin ha realizzato video di presentazione di ogni personaggio, culminando con Carlos nell'atto di suicidarsi con una pistola. Senza questi filmati il teatro avrebbe risparmiato qualche soldo senza che la produzione ne perdesse minimamente in qualità.

Questo brillantissimo allestimento, naturalmente a mio parere, mi ha fatto uscire con la voglia di assistere ad altre produzioni di Warlikowski.

In molte occasioni, l'opera è è una forma artistica sconcertante, composta da molti elementi difficili da unire con successo. In questo caso, alla messa in scena si è coniugata un'interpretazione musicale e drammatica che rimarrà nel mio corpo e nella mia mente per il resto della mia vita.

Ildar Abdrazakov incarnava un Philippe II capace di esprimere l'esercizio assoluto del potere, la crudeltà verso la sposa, l'amicizia con Rodrigue e, fino a un certo punto, la sottomissione all'autorità ecclesiastica. Ha cantato splendidamente “Elle ne m’aime pas!”, accompagnato dal meraviglioso violoncello obbligato di Cyrille Lacrouts. I suoi interventi nei numeri d'assieme sono stati parimenti d'altissima qualità, specialmente i duetti con Rodrigue e il Grand Inquisiteur.

Jonas Kaufmann è stato un Don Carlos profondamente innamorato della Principessa di Francia, tramutandosi in Infante instabile che sconta il suo voler essere un eroe con la morte del suo unico amico come esito delle sue azioni. Il suo recitativo e aria, “Quel jardins éclatants de fleurs et de lumière”, mi ha costretto a pensare che fosse un peccato che Verdi abbia composto un altro assolo per l'Infante – la ragione sarebbe, secondo l'autore, che il creatore del ruolo, Morère, fosse profondamente imbecille e incapace di cantare un'altra aria. Ad ogni modo, la voce baritenorile di Kaufmann si può udire in molti pezzi d'assieme, soprattutto nel duetto con Rodrige, “Dieu, tu sèmes dans nos âmes”, e nel terzetto con questi ed Eboli nel terzo atto.

Il personaggio più anacronistico dell'opera, Rodrigue, è molto attuale nel contesto di questa produzione ed è stato incarnato dal francese Ludovic Tézier. TLa sua prova è stata sfavillante, a mio aprere la migliore nel comparto maschile. Ho già citato il celeberrimo duetto con Carlos e il terzetto del terz'atto, ma è stato eccelso in tutta l'opera e nelle pagine solistiche del quarto atto; la tromba que accompagna la sua morte, suonata da Nicolas Chatenet, appare qui, senza dubbio, un'anticipazione del ruolo che questo strumento, in questo caso lugubre, occuperà nel blues dei neri americani.

Il basso ucraiano Dmitry Belosselskly ha dato vita a uno scaltro Grand Inquisiteur. Magnifico come attore, non ha mostrato alcuna fragilità vocale. Krzysztof Bączyk è stato un monaco imponente.

Se gli uomini si sono distinti, le donne non sono state da meno. 

Sonya Yoncheva ha realizzato con Élisabeth de Valois un'autentica creazione. All'intonare l'attacco del duetto con l'Infante nel primo atto, “De quels transports poignants et doux”, ha mostrato subito una voce bella ed espressiva, la stessa che è tornata a sopraffarmi nell'aria del quinto atto, “Toi qui sus le néant des grandeurs de ce monde”, quando si riaffaccia il tema del duetto, dando al testo il suo senso musicale completo, percepibile solo nella versione in cinque atti. Anche l'addio alla contessa d'Aremberg è stato, nondimeno, un momento d'emozione. L'alchimia con Kaufmann nei tre duetti fra Élisabeth e Carlos è stata semplicemente perfetta, e verosimile il suo confronto con Philippe II.

Verdi scrisse nel 1879 all'amico direttore e compositore Franco Faccio che, dopo Philippe, il personaggio più importante dell'opera è Eboli. È, peraltro, risaputo che la tessitura del ruolo è assai complessa poiché le sue due arie sono state scritte per due diverse cantanti, quella del secondo atto per un contralto (Rosine Bloch) e quella del quarto per un soprano spinto (Pauline Guéymard-Lauters), per cui è stato pure composto il terzetto con Rodrigue e Carlos. Elīna Garança ha debuttato in questo ruolo con questa produzione, e credo che diverrà la Principessa Eboli di riferimento per molti anni a venire. Dal suo apparire nella sala d'armi diviene il fulcro della scena, soprattutto per come permea il personaggio di una sensualità estrema. La Canzone del velo, il cui interesse drammatico nell'opera è relativo, è essenzialmente un'opportunità di esibizione vocale per la cantante e la Garança non ha deluso. Le ultime parole,“S’ecria le roi! Ah!”, sonos tate cantate a una delle dame spadaccine reclinata su uno sgabello con una sensualità veramente animale. Dopo aver udito “Ah!” ho emesso un sospiro soffocato che ha suscitato gli sguardi solidali dei miei vicini. A seguire, il suo flirtare con Rodrigue è stato perfetto, così come il terzetto con lo stesso e Don Carlos. Nella seconda aria, questa sì ad alta temepratura drammatica, “Ô don fatal et détesté”, il mezzosoprano ha cesellato un momento musicale perfetto. Inoltre, cosa non da poco, possiede davvero il dono fatale, la bellezza, questo è poco ma sicuro. 

Thibault è stato molto ben interpretato da Ève–Maud Hubeaux, il Comte de Lerme da Julian Dran, la voce dal cielo da Silga Tiruma e l'arald reale da Hyun–Jong Roh.

Resta solo da riferire di Philippe Jordan, che ha realizzato un lavoro epico nell'assumersi i rischi di questa Ur-version del 1866, che non solo include le stesure iniziali di alcuni numeri, come il duetto fra Philippe e Rodrigue o quello fra Carlos ed Elisabeth nel quinto atto, ma anche altre pagine che sarebbero state eliminate del tutto,. come il preludio alla prima scena dell'atto di Fontainebleau, la scena fra Elisabeth e la Principessa che precede, e conferisce senso drammatico, al terzetto fra Eboli, Carlos e Rodrigue, il duetto fra la Regina e la Principessa che segue l'esplosione di Philippe nel quarto atto e il compianto che segue la morte di Posa. Il rischio avrebbe potuto ritorcerglisi contro se Jordan non avesse diretto in maniera magistrale i solisti, l'orchestra e il coro, preparato da José Luis Basso, dell'Opéra National de Paris, tutti autori di formidabili prestazioni.

L'applauso finale tributato dal pubblico per quasi quindici minuti è stato un fedele riflesso di quel che è avvenuto questa sera sulla scena dell'Opéra Bastille. Almeno per quel che concerne il pubblico pagante, quello su cui Verdi misurava il successo delle sue opere.

Poiché non mi piace considerarmi e non voglio esser considerato tanto un critico o un giornalista, mi prendo la libertà di dilungarmi e prendermi tempo per le mie recensioni. Così, concludo ringrazioando chi ha avuto la pazienza di leggere fino alla fine.

foto Agathe Poupeney


La actualidad de los orígenes

 por Luis Gutierrez

Espléndido, inolvidable Don Carlos a la Opéra de Paris. La actualization a la España de los 1950’s es brillante y fascinante, la interpretación musical y dramática  es excelente.

lée también la critica por Gustavo Gabriel Otero sobre la function de 13 de octubre 2017

París. 25 de octubre de 2017 - Las entradas para las primeras seis, de diez, de las funciones de la nueva producción de Don Carlos en la Opéra National de Paris, se agotaron en cuanto se pusieron a la venta debido al anuncio de uno de los repartos más espectaculares y difíciles de conjuntar hoy día. Algunos de sus integrantes llenan por sí solos una casa de ópera del tamaño de la Opéra Bastille; juntos hacen de esta producción, la producción operística del año en todo el mundo. En adición a lo anterior, Philippe Jordan optó por usar la llamada versión de 1866, es decir lo que Verdi había compuesto antes del inicio de los ensayos, por supuesto con libreto en francés, y que cortó o modificó después del ensayo general, la premier y la segunda función. No se incluyó el ballet, aún no compuesto por Verdi en ese momento. Por cierto, esta producción celebra el ciento cincuenta aniversario del estreno de esta obra, realizado el 11 de marzo de 1867,

La producción, dirigida por Krzystof Warlikowski, traslada la acción de la ópera del siglo XVI a la España de los 1950’s, otra época en la que el poder del estado, la dictadura de Franco, y de la iglesia, a través del Opus Dei, fueron tan absolutos e intolerantes como en el siglo XVI. En mi opinión, la actualización no sólo es verosímil y no contradice “las intenciones” de Verdi, sino llega a ser brillante, al tratar un tema de hoy. Es claro que el director ni esperaba ni sabía cuando planeó su trabajo, que las condiciones políticas de España en estos momentos hiciesen que Flandes se pareciera a Cataluña, pero el impacto ahí queda.

Malgorzata Szczesniak firmó el diseño de escenografía y vestuario, logrando un magnífico resultado. El vestuario corresponde a las modas de los 1950’s; la escena, aparentemente simple, simula en el acto I un museo en el que el coro representa al público que admira a la realeza expuesta, aunque se retira en los momentos íntimos, como el dueto entre Carlos y Élisabeth, y regresa a la crisis pública cuando la Princesa de Francia decide, contra su voluntad, convertirse en Reina de España.

La primera escena del segundo acto es dominada por una estructura que presenta una elaborada celosía, tras de la que cantan los monjes del monasterio de San Yuste; este espacio se convierte en una sala de armas, no en un jardín, en la que las damas de honor hacen esgrima con espada, como elemento destacado del divertiment que es la canción del velo. En el mismo espacio se desarrolla el resto de la segunda escena del acto II.

El espacio con la celosía regresa durante la primera escena del acto III, y la coronación y auto-da-fé se escenifican en un anfiteatro que sugiere la herradura de un parlamento. Le Grand Inquisiteur–Escrivá de Balaguer, está presente durante la escena y sonríe con socarronería al desplazarse para bendecir al único reo a ser ejecutado.

La primera escena del cuarto acto se lleva a cabo en un recinto que bien podría ser una sala de exhibición privada, en la que aparecen Philippe y Eboli después de haber tenido un encuentro sexual aparentemente satisfactorio, al menos para ella dada su expresión facial y el placer mostrado al fumar e inhalar cocaína. Hay a quienes puede chocar esta escena, pero yo encontré fascinante escuchar el aria principal de Philippe después de haber sido infiel a la Reina. La discusión de Philippe y Élisabeth que suscita el cofre de los tesoros de la Reina se torna muy violenta, pues el Rey trata de estrangular a la Reina lo que impide Rodrigue al intervenir. La dirección actoral en estos momentos, subraya que, al menos originalmente, la Reina abandona la sala dejando a Eboli sola hasta que Lerma entra y le comunica la decisión de la Reina por la que la condena al exilio o al convento, pues no puede perdonarle la infidelidad de su esposo. Normalmente vemos que la Reina comunica directamente su decisión a la Princesa. La segunda escena del acto presenta el calabozo del Infante, en un espacio reducido dejando la mayor parte del espacio para las escenas de la muerte de Posa y el intento de insurrección. El director da otro toque psicológico, al mostrar a Eboli robando un beso de Philippe, y no de Carlos, antes de marcharse al exilio.

El acto V regresa a la escena inicial del acto II. Al final del acto, después que el Inquisidor preside el juicio sumario de Don Carlos, sale Carlos V del claustro a rescatarlo. El emperador es representado por un viejo decrépito y altamente condecorado, que bien podría pertenecer a una de las familias reales a la que son tan aficionados los españoles.

La iluminación, diseñada por Felice Ross destaca lo que hay que destacar y oscurece lo que hay que oscurecer. Denis Guéguin diseñó unos videos que presentan a cada personaje hasta mostrar a Carlos en el acto de suicidarse con una pistola. Si no hubieran existido estos videos, la compañía habría ahorrado algo de dinero. sin demeritar en un ápice la calidad general de la puesta en escena.

Esta brillantísima puesta en escena, por supuesto en mi opinión, me hizo quedar con las ganas de volver una producción de Warlikowski.

En muchas ocasiones, la ópera es una forma artística desconcertante, ya que está compuesta por varios elementos difíciles de reunir exitosamente. En este caso, a la puesta escena se unió una interpretación musical y dramática que permanecerá durante en mi mente y cuerpo durante el resto de mi vida.

Ildar Abdrazakov encarnó un Philippe II capaz de expresar sus estados de ejercicio absoluto de poder, crueldad con su esposa, amistad con Rodrigue y, hasta cierto punto, sumisión hacia el poder de la iglesia. Cantó espléndidamente “Elle ne m’aime pas!”, acompañado en forma maravillosa por el violonchelo obbligato de Cyrille Lacrouts. Sus intervenciones en los números de conjunto fueron también de altísima calidad, especialmente durante los duetos con Rodrigue y Le Grand Inquisiteur.

Jonas Kaufmann, fue un Don Carlos enamorado profundamente de la Princesa de Francia, convirtiéndose en el inestable Infante que peca de querer ser héroe, pues lo que logran sus acciones es la muerte de su único amigo. Su recitativo y aria, su único solo de la ópera, “Quel jardins éclatants de fleurs et de lumière”, me obligó a pensar que fue una lástima que Verdi sólo compusiera un aria para el infante – la razón de esto es que, en opinión del compositor, el creador del papel, el tenor Morère, era un imbécil profundo incapaz de cantar otra aria. Sin embargo, el tenor baritonal de Kaufmann pudo escucharse en muchos números de conjunto, destacando el dueto con Rodrigue, “Dieu, tu sèmes dans nos âmes” y en el terceto con Rodrigue y Eboli en el tercer acto.

El personaje anacrónico de la ópera, Rodrigue, es muy actual en el contexto de esta producción y fue personificado por el francés Ludovic Tézier. Tuvo una muy brillante interpretación, en mi opinión la mejor de los hombres. Ya se mencionó el conocidísimo dueto con Carlos y el terceto del acto III, pero estuvo excelso al cantar sus dos arias, especialmente la del acto IV; la trompeta que acompaña su muerte, interpretada por Nicolas Chatenet, es, sin duda, un anticipo del lugar que este instrumento, lúgubre en esta ocasión, adquiriría en el blues de los negros americanos.

El bajo ucraniano Dmitry Belosselskly dio vida a un Grand Inquisiteur socarrón. Actoralmente lo hizo magníficamente y en lo vocal no mostró ninguna nota de fragilidad. Krzysztof Bączyk cantó un monje imponente.

Los hombres tuvieron un desempeño destacado y las mujeres no les fueron a la zaga.

Sonya Yoncheva hizo una creación como Élisabeth de Valois. Su entonación del inicio del dueto con el Infante del acto I, “De quels transports poignants et doux” mostró su hermosa y expresiva voz, misma que volvería a apabullarme en su aria del acto V, “Toi qui sus le néant des grandeurs de ce monde” cuando regresa el tema del dueto, dando al texto el sentido musical completo, que sólo se logra en las versiones de cinco actos. Su aria de despedida de su dama de compañía en el segundo acto también fue un momento de emoción. La mezcla con Kaufmann en los tres duetos entre Élisabeth y Carlos fue simplemente perfecta, y verosímil en su confrontación con Philippe II.

Verdi escribió en 1879 a su amigo el director y compositor Franco Faccio que, después de Philippe, el personaje más importante de la ópera es Eboli. También es sabido que la tesitura del papel es muy complicada pues sus dos arias fueron escritas para dos cantantes, la del acto II para una contralto y la del acto IV para una soprano spinto, para quien también compuso el terceto con Rodrigue y Carlos en el acto III. Elīna Garança hizo su debut en este papel con esta producción, y creo que se convertirá en la Princess Eboli de referencia durante muchos años. Desde su aparición en la sala de armas del acto II se convierte en el punto focal del escenario, especialmente al imbuir a su personaje de una sexualidad extrema. La canción del velo, cuyo interés dramático dentro de la ópera es tangencial, es esencialmente un vehículo de lucimiento vocal para la cantante y la Garança no lo desaprovechó. Las últimas sílabas de la pieza,“S’ecria le roi! Ah!” las cantó a una de las damas espadachines recostada sobre un taburete con una sensualidad totalmente animal. Después de oír “Ah!” exhalé un ahogado ¡ufff! que hizo que algunos de mis vecinos voltearan a verme mostrando solidaridad con mi reacción. Su flirteo con Rodrigue a continuación y el terceto con el mismo Posa y Don Carlos en el acto III también fueron perfectos. Durante su segunda aria, ésta sí con gran sentido dramático, “Ô don fatal et détesté”, la mezzo logró cincelar una pieza musical perfecta. Además, y no es poca cosa, hizo que el don fatal, es decir su belleza, fuese más cierto que nunca.

Thibault fue muy bien interpretado por Ève–Maud Hubeaux, le Comte de Lerme por Julian Dran, une voix d’en haut por Silga Tiruma y el heraldo real por Hyun–Jong Roh.

Sólo queda hablar de Philippe Jordan quien realizó un trabajo épico al tomar riesgos al emplear la “ur-versión” de 1866, que incluye no sólo composiciones iniciales de algunos números, como los duetos de Philippe y Rodrigue en el acto II y el de Carlos y Elisabeth en el acto V; sino otros que fueron eliminados totalmente, como el preludio y la primera escena del acto de Fontainebleau, la escena entre Elisabeth y la Princess que precede, y da sentido dramático, al trío entre Eboli, Carlos y Rodrigue, el dueto entre la Reina y la Princess que sigue al exabrupto de Philippe en el acto IV y el dueto entre Philippe y Carlos que sigue a la muerte de Posa. La toma de riesgo hubiese sido improductiva, y contraproducente, si Jordan no hubiese logrado dirigir magistralmente a los solistas y a la Orquesta y Coro, este preparado por José Luis Basso, de la Opéra National de Paris, entidades que tuvieron una formidable interpretación.

El aplauso final otorgado por el público por casi quince minutos fue un fiel reflejo de lo que sucedió esta noche sobre el escenario de la Opéra Bastille. Al menos en cuanto al público que pagó, forma en la que Verdi medía el éxito de sus obras.

Dado que no soy, ni intento parecer, periodista o crítico, tengo la libertad en la extensión de lo que reseño, así como en el tiempo en que tardo en hacerlo. Entonces, termino agradecido por quienes tuvieron la paciencia de llegar a este punto final.

foto Agathe Poupeney