Rapiti in estasi

 di Giovanni Andrea Sechi

La Royal Opera House riprende il recente allestimento firmato da Katie Mitchell, censurandone i particolari più espliciti. Nella compagnia di canto si impone Lisette Oropesa (Lucia), al debutto nel teatro londinese; eccellente prova per Ismael Jordi (Edgardo) e menzione d’onore per Mirco Palazzi (Raimondo).

LONDRA, 27 novembre 2017 ‑ A distanza di un anno ritorna la chiacchieratissima produzione di Lucia di Lammermoor della Royal Opera House in coproduzione con l’Opera nazionale greca. Aborti, sangue e sesso in scena (in occasione di queste riprese si è censurata una scena troppo esplicita di Edgardo e Lucia): non sono certo una novità per il pubblico anche se ci si chiede se non siano espedienti un po’ gratuiti per fare show. Almeno in questo caso Kate Mitchell (regia) lo sa fare con stile: la regista ha una cura cinematografica dei dettagli narrativi, e ha il pregio di avvalersi di una compagine creativa di livello. Non si è sempre d’accordo su cosa accade in scena, ma la parte visiva è gradevolissima: non c’era bisogno di strafare per valorizzare i bei costumi e le scene di Vicki Mortimer e le splendide luci soffuse curate da John Clark. L’ambientazione è pressoché ottocentesca e il palcoscenico è sempre diviso in due: mentre in un lato si svolge l’azione, nell’altra troviamo il commento, le conseguenze, o un flashback. In alcuni casi l’idea si dimostra vincente: riuscito è lo scontro tra Enrico e Lucia tutta giocata tra la sua camera da letto e il suo bagno, come la scena finale di Edgardo a lume di candela sul fonte dell’incontro con Lucia. Non sempre, tuttavia, questa suddivisione degli spazi è congeniale allo svolgimento dell’opera. Per esempio, nella scena del matrimonio coro e solisti sono assiepati in uno spazio angusto con possibilità di movimento minime e nel frattempo l’altra metà del palcoscenico è inutilizzata. È curioso che tanti registi d’opera soffrano d’horror vacui: durante un’aria aggiungono così tanti oggetti e movimenti che, alla fine, tutto sembra una parodia: era davvero necessario che il fantasma dell’estinta amante del Ravenswood si intromettesse nell’abbraccio tra Lucia ed Edgardo in «Verranno a te sull’aure»?

Alti e bassi nella compagnia vocale, iniziando dagli uomini. È un piacere trovare in Ismael Jordi (Edgardo) la facilità nella tessitura medio-acuta e quella schiettezza vocale tipicamente mediterranea: non carica l’emissione, né tenta di rendere drammatico il ruolo. A un Edgardo così nobilmente educato, fa contrappunto il Raimondo di Mirco Palazzi, sempre composto e dal bel colore vocale, nonché un maestro nel risolvere gli imprevisti della scena: durante il colloquio con Lucia è costretto ad aprire la porta inceppata con una spallata energica. L’ottimo volume e la proiezione del suono non bastano per salvare la performance di Enrico: Christopher Maltman avrebbe non solo l’autorità del fratello arrogante ma anche i mezzi vocali per farlo. Tuttavia le troppe difficoltà nel legato rendono la sua prova difficilmente recepibile. Fra i comprimari fa sperare in esiti più maturi la prova di Konu Kim (Arturo); commisurato all’onere delle parte è il contibuto di Andrew Tortise (Normanno)

Maggiori soddisfazioni per quanto riguarda le voci femminili: Rachel Lloyd (Alisa) assolve con professionalità alla sua parte, mentre Lisette Oropesa (Lucia) si rivela una belcantista promettentissima. Quando al bel porgere e alla dizione curatissima si unisce la perfezione nella coloratura legatissima, nel filare e smorzare i suoni… cosa potremmo chiedere di più? Se dovessimo trovare un difetto diremmo che la sua Lucia non sarà certo ricordata per i sovracuti al fulmicotone. Pazienza. Ma i sovracuti in Lucia sono proprio indispensabili nel 2017? Forse potremmo iniziare a farne a meno. Una vocalità come quella del soprano cubano dimostra ancora una volta quanto il ripristino delle tonalità originali nella Lucia di Lammermoor sia una necessità. Meglio un’interpretazione brillante come questa oppure un’esecuzione che è una semplice rassegna di puntature? La querelle tra pubblico ed esecutori sicuramente non si risolverà presto…

Rispetto alla scorsa Lucia bolognese (leggi le recensioni del 16/06/2017 e del 21/06/2017), in questa sede la direzione di Michele Mariotti si apprezza ancor di più per la cura dei dettagli e per la assoluta coesione tra buca e palcoscenico. Compatta, impeccabile e raffinata è la prova del Orchestra della Royal Opera House, e del Coro preparato da Peter Manning. Al melomane affezionato spiaceranno i tagli ultratradizionali (la cadenza col flauto resiste) e una certa indulgenza della direzione verso i cantanti (difficile pretendere che Edgardo canti «ma di Dio la mano irata» in questa sede), ma son minuzie. Dopo applausi scroscianti per la protagonista, visi soddisfatti e qualche risata (la frase «piange la madre estinta» forse è una battuta per i londinesi?) possiamo tornare a casa tutto sommato soddisfatti.

foto Stephen Cummiskey