Il gigante e la cartolina
di Silvia Campana
In una serata dedicata alla zarzuela, idea sulla carta assai pregevole, domina il carisma di Placido Domingo, mentre lascia a desiderare la concezione patinata dello spettacolo, fra una Spagna da cartolina e discutibile microfonazione.
VERONA, 21 luglio 2017 - Una gran bella idea quella di inserire nel cartellone estivo areniano una serata insolita, in quanto la “zarzuela” è genere 'di nicchia' assai poco noto fuori dai confini iberici, e altrettanto felice farla eseguire a un grande quale Placido Domingo che, proprio da quel repertorio, partì per affrontare la sua lunghissima e versatile carriera.
Diciamo subito che le attese sono state solo in parte soddisfatte e solamente dal grande artista che si è presentato all'appello preparatissimo e in forma smagliante.
Il suo excursus attraverso quella che è la musica della sua tradizione popolare scorreva fluido: la voce ferma, il timbro morbido e teatrale che ne ha contraddistinto la carriera, la parola scolpita e una verve inossidabile che, quando occorre, cedeva il passo a una straziante malinconia (“Luche la fe por el triunfo” da Luisa Fernanda) confermandoci ciò che già ben sapevamo e cioè che, a prescindere dalle sue discutibili scelte di repertorio recenti, Placido Domingo è e resta uno dei pilastri della moderna drammaturgia musicale e, ad ascoltarlo, regala ogni volta quelle emozioni che solo i grandi riescono veramente a trasmettere.
Purtroppo lo spettacolo non veicolava la stessa malia ma appariva come una patinata pubblicità per la promozione di un villaggio turistico spagnolo.
Non mancava nulla, a parte l'anima della Spagna stessa: flamenco, cavallo bianco e fuochi d'artificio che si alternavano su di uno spazio scenico creato da Stefano Trespidi attraverso l'utilizzo di alcuni elementi scenici della zeffirelliana Carmen (per chi ne avesse sentito la mancanza).
Lunghi e numerosi cambi, al termine di ogni brano, interrompevano di continuo il racconto musicale compromettendo la riuscita di uno spettacolo che, semplicemente ospitato sul nudo palcoscenico areniano, avrebbe indubbiamente potenziato il suo carisma. Neppuure la scelta di microfonare solisti, orchestra e strumenti è apparsa felice, soprattutto per il livello di amplificazione scelto.
Ad affiancare Domingo, due giovani artisti quali il tenore Arturo Chacòn-Cruz e il soprano Ana Marìa Martìnez svolgevano diligentemente il proprio ruolo anche se, com'è normale, i suoni e i colori venivano naturalmente appiattiti dalla microfonazione e darne un giudizio corretto risulta dunque difficile.
La compagnia “Antonio Gades” eseguiva correttamente alcune danze che, a parte un paio di brani, del Flamenco condividevano solo la musica mentre l'orchestra areniana trovava giusto polso e vigore nella direzione dell'ottimo M°Jordi Bernàcer.
Un'Arena gremitissima, davvero da tuffo al cuore, tributava autentiche ovazioni al suo beniamino che ringraziava commosso con alcuni bis, seguito dagli altri artisti, chiudendo poi con “Amor, vida de mi vida, que triste decirte adiòs” di Torroba, quale vero atto d'amore verso il suo pubblico.