Chloë Hanslip, Andres salado

Noche Espanola

 di Antonino Trotta

Gioca in casa Andrés Salado alla guida dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano: Fairouz, de Falla e Ravel nella serata dedicata ai “Paesaggi Spagnoli”, che vede come soliste Chloë Hanslip al violino e Lilya Zilberstein al pianoforte. Un appuntamento MITO 2017 dal ritmo latino.

Torino, 18 Settembre 2017 – La Spagna che si intravede tra le note di Fairouz, de Falla e Ravel non è una semplice descrizione paesaggistica ma una narrazione fantastica che si estende attraverso il tempo e lo spazio. Ad accompagnare il pubblico dell’Auditorium della RAI “Arturo Toscanini” in questo seduttivo viaggio nella penisola iberica c’è l’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano diretta dal giovane maestro Andrés Salado.

Molto particolare il variopinto concerto per violino e orchestra Al-Andalus del compositore americano Mohammed Fairouz (classe 1985), che occupa la prima parte della serata. Un violino Guarnieri del Gesù del 1737 è impugnato dalla solida mano di Chloë Hanslip. Grande merito di questo concerto è quello di mescolare, con interessanti soluzioni, temi arabi con ritmi e colori latini, sulla scia dell’impegno socio-politico del compositore che promuove la comprensione reciproca fra culture differenti. Il primo movimento, Ibn-Firnas’ Flight, è dedicato al volo di questo filosofo e scienziato arabo che, secondo una leggenda, nell’875 fu compiuto grazie a una macchina dotata di ali piumate. Questa narrazione si dipana a mezzo di un ciclico susseguirsi di serpeggianti danze che si stemperano in cellule liriche di grande pathos affidate al violino solista. La Hanslip affronta indenne tutte le acrobazie virtuosistiche ma fatica a emergere sull’orchestra impegnata in tremoli, arpeggi e glissandi che creano una vaporosa ma invasiva nube sonora. Il risultato quindi appare piuttosto piatto, nonostante i tentativi del direttore di coadiuvare ambo le parti. Un fenomeno imputabile all’orchestrazione e alla tessitura del violino solista, concentrata principalmente nel registro più acuto dello strumento, dove le possibilità in termini di volume si riducono. Suggestivo, ma difficilmente allocabile nella memoria uditiva, il secondo movimento, The ride of Doves, ispirato al trattato sull’amore del 1082 di Ibn-Ham. Funereo l’inizio, scandito da solenni pizzicati, dove violino solista e primo violino si intrecciano in una struggente melodia. A sostegno di questo elegiaco canto si desta un leggero supporto orchestrale, articolato in lungo climax. Al centro di queste tese forchette emergono gli ottoni che intonano ancora il tema principale del movimento per poi scomparire nell’evanescente conclusione. Appassionato e sensuale l’ultimo movimento del concerto, Dancing Boy, che rimanda a una poesia omoerotica del poeta Ibn-Kharouf. Una breve introduzione e un ironico accelerando sfociano in una irresistibile danza dal sapore squisitamente orientale, dove finalmente si percepisce una maggiore varietà nei colori e nelle dinamiche dell’orchestra. Al dispiegato e luminoso canto del violino, impreziosito da numerose facezie musicali, si avvicendano trombe, violoncelli e altre sezioni, tessendo un coloratissimo arazzo che ammalia il pubblico dell’Auditorium.

Superba Lilya Zilberstein nelle godibilissime impressioni sinfoniche per pianoforte e orchestra Noches en los Jardines de España di Manuel de Falla. Chiaroscurale il primo quadro, En el Generalife, un suggestivo palazzo moresco situato su una collina di Granada e arricchito da un maestoso giardino terrazzato. I vellutati arpeggi iniziali plasmano l’immagine della luna che si riflette nelle fontane di questo eden in terra. Dalle sonorità acquatiche, quasi raveliane, emerge l’elegante canto del pianoforte che riluce per la chiarezza del fraseggio e la ponderatezza con cui ogni nota è eseguita: le movenze della pianista non sono mai sintomo di eccessivi fanatismi ma funzionali alla calibrazione del tocco in ogni momento dell’esecuzione. Decisamente più spagnoleggiante il secondo movimento, Danza Lejana, dove flauti, corni inglesi e pianoforte si susseguono nell’esposizione del tema sullo sfondo degli archi che evocano l’atmosfera di una notte incantata. È specialmente in questa parte che viene fuori il carattere impressionista dell’opera: il materiale folkloristico non è che il punto di partenza per esuberanti peregrinazioni musicali dove il pianoforte non svolge un ruolo solistico nel senso tradizionale del termine ma è il principale elemento coloristico di un acquerello dai colori autunnali in cui le immagini non hanno un contorno ma si mescolano le une con le altre grazie a raffinate sfumature. Un tenue tremolo degli archi seguito da poderose ottave martellate del pianoforte (morbide e non legnose) introduce il terzo movimento, En los jardines de la Sierra de Córdoba, dove pianoforte e orchestra sono coinvolti in un serrato rapporto dialogico fatto di echi e contrasti. Anche dove la partitura si increspa la Zilberstein preserva il suono vellutato e cristallino. Al romantico legato dell’orchestra si contrappone invece un canto del pianoforte che seppur marcatamente articolato non è meccanico ma scolpito nella lastra orchestrale con raffinate torniture ritmiche e dinamiche. Etereo il finale in cui l’orchestra si dissolve lentamente in un sonoro silenzio interrotto solo dagli applausi del pubblico.

Gran finale della serata è il celeberrimo Bolero di Maurice Ravel. Geniale nella sua concezione, immediato nella presa sul pubblico ed esplosivo nell’orchestrazione, il Bolero è una delle composizioni più note anche tra i non appassionati, forse al pari della Nona di Beethoven o del Rondò alla turca di Mozart. Andres Salado regola con minuzia l’esecuzione di quest’opera ipnotica e trascinante: ottima la resa dinamica, che parte da flauto in pianissimo e rimbalza da uno strumento all’altro crescendo controllatamente senza mai anticipare la roboante deflagrazione nella diciottesima ripetizione. Ovazione da parte del pubblico per questo capolavoro che incarna la semplice vitalità autorigenerante della musica.