La forma e il colore

 di Roberta Pedrotti

La stagione di Musica Insieme ospita la Filarmonica Toscanini per uno splendido concerto con Krystian Zimerman solista d'eccezione.

BOLOGNA 13 novembre 2017 - Krystian Zimerman è veramente uno degli ultimi divi, di quegli artisti intorno alle cui abitudini, esigenze, piccole e grandi manie fiorisce un'aneddotica che si rinnova a ogni apparizione, uno di quegli artisti da cui è meglio non aspettarsi null'altro di quello che, quel giorno, vorrà offrire. Anche se rivoluzionerà il programma annunciato o lo comunicherà all'ultimo momento. In ogni caso avrà ragione lui, perché è uno di quei veri divi che possono permettersi d'esser tali e quando siede al pianoforte - il suo, rigorosamente - mette tutti a tacere, e lascia a bocca aperta. Così, se anche aspettavamo da mesi il suo omaggio a Leonard Bernstein con il ritorno a quella seconda sinfonia, The Age of Anxiety, di cui aveva già lasciato memorabile interpretazione come solista diretto dallo stesso compositore, anche se questa anteprima italiana della tournée e dell'incisione prossime venture con i Berliner e Simon Rattle era attesa con una certa trepidazione, non abbiamo potuto che accogliere con piacere il cambio in corsa e l'annuncio del Quarto concerto di Beethoven.  

Al gusto della rarità subentra quello di un grande classico che per Zimerman sembra essere, ormai, come una seconda pelle, già indossata, non a caso, proprio in una memorabile incisione con Bernstein. Potrebbe sembrare scontato ripetere a quali vette sia giunto il ben noto perfezionismo del pianista polacco nel cesellare il suono, nel cristallizzare un perlage scintillante, fine, liquido e netto bilanciandolo con l'aroma corposo e inafferrabile della mano sinistra. Questa cura certosina del dettaglio dinamico e coloristico, del senso del legato e dell'articolazione della frase non si ferma, però, alla mera estetica, bensì condensa in sé una visione d'insieme chiara e profonda in cui nulla è lasciato al caso, nulla appare irrelato né trascurato nel suo valore intrinseco e nel suo senso dialettico. Perfino l'ampia cadenza del primo movimento riesce a essere, nello stesso tempo, una sorta di concerto nel concerto, summa e sintesi dello stesso, parte perfettamente integrata e ineludibile del discorso. Un discorso che eleva nel secondo movimento, poi, una patina dolcemente nostalgica, una sottile malinconia che sarebbe anacronistico chiamare spleen e definiremmo allora un distillato ammaliante di Sehnsucht che si stempera poi nella leggiadria cangiante di un rondò ponderato con sapienza, dove la consapevolezza non appesantisce, l'eleganza non sfuma nel fatuo. 

Nessun bis gratifica il boato del pubblico, ma non riusciamo a sentirci inappagati: dopo tanto splendore può essere anche un bene non aggiunger nulla e lasciar intatto il riverbero del capolavoro beethoveniano.

D'altra parte, fatta salva la grandezza di Zimerman, la sua luce non offusca il contesto e gli ottimi compagni d'avventura, in particolare la bacchetta del connazionale Grzegorz Nowak, che è, sì, fido sodale, ma non cavalier servente del solista, come dimostra il passo spedito e sicuro nelle esuberanze del Carnaval romain di Berlioz, ma soprattutto la cura con cui è affermata la personalità dell'orchestrazione dei Quadri di un'esposizione di Musorgskij non nell'arcinota versione di Ravel, ma in quella di Sergej Gorčakov (1905/1976). Un ascolto assai interessante, una piccola gemma curiosa che al di là di alcuni parallelismi con Ravel che diremmo inevitabili per idiomaticità di scrittura, si discosta nettamente dal virtuosismo sottile del trattamento orchestrale del francese, per proporre, viveversa, superfici anche più ruvide e massice, tratti grotteschi, un umore, sintetizzeremmo, più slavo e ispirato, mutatis mutandis, a certe atmosfere del primo Boris. La Filarmonica Arturo Toscanini di Parma le rende benissimo, seguendo a dovere Zimerman e, in Beethoven, bilanciando sonorità e colori con il piano di Zimerman. È davvero un piacere constatare la crescita continua di un complesso sinfonico ormai fra i primi in Italia per qualità tecnica in tutte le sezioni, coesione musicale e identità timbrica, tutte qualità confermate nel passaggio dall'acustica ridondante - e un tantino arruffata - del loro auditorium parmigiano Paganini, a quella, al contrario, più asciutta del bolognese Manzoni. 

Anche per loro, non meno che per Zimerman, esplodono calorosi e meritati applausi da parte del pubblico che, con ottime ragioni, ha sfidato i disagi della precoce nevicata per non perdersi questa serata.