Le Docteur Faust: rêve et délire

di Andrea R. G. Pedrotti

C. Gounod

Faust

Kaufmann, Poplavskaya, Pape

orchestra e coro della Metropolitan Opera House

direttore e concertatore Yannik Nézet-Séguin

regista Des McAnuff

New York, novembre 2011

2 DVD DECCA, 2014 0440 074 3811 4

DVD-VIDEO NTSC DH 0440 074 3812

1 Blu-ray Video 60i DH

Già l'idea di Johann Wolfang Von Goethe nacque da una leggenda popolare, ove il sapiente Faust Bojan decide di invocare il diavolo, al fine di ottenere, a prezzo della propria anima, la sapienza assoluta per ventiquattro anni. L'antico racconto tedesco ebbe genesi dall'affermarsi nella società di quella moltitudine di personaggi - resi inquietanti dalla vulgata popolare - vissuti nel Rinascimento, quando la scienza cominciava a formarsi, scontrandosi e fondendosi con la teologia. In realtà, quindi, le vicende del Dottor Faust nascono dall'immaginario collettivo. L'edizione prodotta, nel 2011, dalla Metropolitan Opera House, principia e ha la sua conclusione proprio nel delirante sogno di Faust, il quale, afflitto dalla vecchiaia e privo dei piaceri materiali, si aggira in una sorta di grande laboratorio (che poi sarà cornice dell'intera messa in scena, con tanto di camici bianchi quasi perennemente presenti), apparentemente dismesso, indeciso se porre o meno fine ai propri giorni. Nella perizia cui la regia di Des McAnuff segue pedissequamente ogni indicazione del testo di Jules Barbier e Michel Carré è sempre presente il senso dell'irrealtà; il fondo della scena è perennemente animato da proiezioni con il chiaro scopo di calare chi assista all'opera nei tormenti e nei sentimenti, vissuti dall'anima dell'anziano studioso: intensi sguardi a tinte sfumate, nei momenti di riflessione, fasci di rose in quelli d'amore, fino all'intenso viso di Marguerite, che, ormai folle, grazie alla sua sensibilità, unica riesce a riconoscere la vera natura demoniaca di Méphistophélès. L'intero apparato scenico è molto semplice e i quadri si susseguono con pochi elementi, facilmente sostituibili e aiutati dallo straordinario progetto luci di Peter Mumford, funzionale e indispensabile per la felice riuscita della produzione quanto la parte musicale. Per far sì che l'alchimia dello spettacolo compisse appieno il suo effetto si è deciso di affidare la partitura a una compagnia d'altissimo livello. Jonas Kaufmann interpreta il ruolo di Faust alla perfezione: sin dal suo apparire da prova delle sue grandi qualità d'attore, attraverso i più piccoli gesti (come asciugarsi la fronte con un fazzoletto che sarà prima nella mani di Méphistophélès, poi sudario di Valentin e, infine, rappresenterà simbolicamente il defunto figlio di Marguerite) è in grado di rendere tutta l'interiorità del personaggio, in ogni sfaccettatura. Inizialmente vecchio e stanco, quasi irriconoscibile, poi, attraverso un veloce cambio d'abito, tutta la linfa giovanile pare cominciare a scorrere nelle sue vene, prima sprezzante e alla perenne ricerca della perversione, poi sinceramente innamorato e, da ultimo, vittima degli eventi di cui egli stesso sarebbe stato causa, stringendo il demoniaco patto. Al termine dell'opera tutto si svela, la scena torna quella iniziale e Faust si accascia al suolo, stringendo ancora fra le mani il bicchiere contenente il farmaco mortale, causa e termine del suo delirio. Particolarmente pregevole l'impostazione vocale, con un ottimo squillo in acuto e una proprietà di fraseggio di rara intensità. Il Méphistophélès di René Pape inquadra perfettamente il personaggio sotto ogni punto di vista: assolutamente perfetta la resa scenica, sempre permeato dalla calma tipica del male, la sua presenza è subdola e elegantissima; appere a Faust in un impeccabile abito bianco, la penna per la firma del contratto si materializza fra le sue mani, a seguito d'un suggestivo e inaspettato fuoco fatuo e ogni minimo gesto nasconde un simbolismo profondo. Le arie sono eseguite con efficacia coinvolgente e mai caricaturale: “Le veau d'or” (immagine del tradimento della fede e dell'abbandono di un popolo alla perdizione, come tramanda la tradizione ebraica dell'antico testamento) diventa un momento assolutamente memorabile; Méphistophélès pare aver in pugno tutti i presenti, che vengono posseduti, in una ritmata epilessia, magistralmente controllata da una suggestiva gestualità, quasi fosse un perfetto direttore d'orchestra, perdendo il controllo e crollando, vittima di convulsioni, soltanto all'apparire della croce. Anche il bastone perennemente stretto fra le mani, quale segno del comando, ha come impugnatura una piccola figurazione del sistema tolemaico, a rappresentare la sua egemonia ultraterrena. A riprova del potere distruttivo del male, la notte di Valpurgie si manifesta nel culto d'una grande bomba atomica, venerata dai demoni, ma creata dall'uomo stesso, che come Faust si rivolge al demonio per i suoi scopi distruttivi nei confronti della sua stessa specie. Allo stesso modo la serenata “Vous qui faites l'endormie” viene eseguita con grandissima classe e nobiltà, scevra da ogni espressione sguaiata nelle risate, figlia della peggior tradizione. L'evoluzione del personaggio freddo e viscido giunge a essere vera eincarnazione del male al termine dell'opera: muta completamente aspetto, l'espressione è più arcigna, pronto a portare a compimento ciò che si era prefissato, sino a trascinare all'inferno, assieme a lui, Faust. Marina Poplavskaja si dimostra anch'essa ottima attrice: Marguerite, ragazza profondamente fragile, melanconica e sensibile, piange la morte della sorella e saluta affranta la partenza del fratello Valentin, alla volta della guerra. L'aria dei gioielli, dove la ragazza estrae ogni oggetto, seguendo minuziosamente le indicazioni del libretto, come in ogni più piccolo dettaglio della regia, è interpretata con grandissima partecipazione e fraseggio curato. Come in Kaufmann (bellissimo il loro duetto d'amore) tutti gli aspetti psicologici sono approfonditi in maniera notevole e i sentimenti del personaggio giungono all'ascoltatore, coinvolgendolo completamente. In una recita interamente ad alti livelli, il momento più toccante è rappresentato dal suo ultimo atto, quando abbandonata dall'amato e maledetta dal fratello morente, impazzisce annegando lo stesso frutto del suo amore maledetto in un figurativo fonte battesimale (che funge anche da lavabo dello studio di Faust) d'una cappella satanica - questa prende forma dall'apparire in proscenio degli scienziati, che, sfruttando le luci e l'effetto cromatico dei camici, trasformano l'intero studio in una grande chiesa votata al culto demoniaco -, per poi essere arrestata e rinchiusa in una cella minuscola dall'aspetto inquietantemente claustrofobico; qui Marguerite adagia un fazzoletto bianco fra le braccia e inizia a cullarlo dolcemente, quasi fosse il suo defunto figlio. Unica riconosce in Méphistophélès la vera natura diabolica e le colpe di Faust, indicando macchie di sangue non visibili ad altri, se non alla sua anima ferita; l'aspetto è trascurato, vestita d'un semplice abito di tela, i capelli rasati, il volto emaciato, lo sguardo profondo, ma spiritato. Lei sola giunge alla salvezza, ascendendo al cielo, tramite una grande scala posta sul fondo della scena, in contrasto con la discesa infernale di Faust e Méphisophélès. Ben caratterizzati anche il Valentin di Russell Braun, personaggio chiave dell'intera vicenda e vittima degli eventi quanto la sorella, il Wagner di Jonathan Beyer, il Siébel della brava Michèle Losier e, soprattutto, l'ottima Marthe di Wendy White, la quale, nei suoi atteggiamenti, palesa quale fascino possa celare in sé il diavolo. L'insieme dello spettacolo non avrebbe potuto avere collante e fautore migliore quanto uno straordinario direttore d'orchestra come Yannick Nézet-Séguin: la sua lettura della scrittura musicale è assolutamente geniale, le dinamiche sono perfette, tutto appare più semplice, quasi scontato, anche quando non lo è. Trasporto e catarsi sono totali fin dal primo accordo e la sua bacchetta pare donare un potere quasi subliminale alle note di Gounod, rendendo certamente la sua una delle migliori esecuzioni mai ascoltate. Il rapporto fra buca e palco è totalmente simbiotico e di grande sostegno per i cantanti. Le scene sono di Robert Brill e i bellissimi costumi primo novecento sono affidati a Paul Tazewll. Le curatissime e pertinenti coreografie, eseguite alla perfezione dal corpo di ballo del Metropolitan, sono di Kelly Devine. Ottima, sotto ogni punto di vista, la prova del coro, diretto da Donald Palumbo. Al termine pubblico in piedi, a decretare una meritatissima ovazione per tutti gli interpreti. Una grande nota di merito va data anche alla ripresa video della Decca, curata da Sean Nieuwenhuis, che ha previsto simpatici interventi di Joyce DiDonato, come conduttrice e narratrice, prodigandosi in numerose interviste, realizzate negli intervalli, a riprova di quanto i veri artisti possano provare stima reciproca.