La musica delle celesti sfere

di Roberta Pedrotti

De divina inventione

musiche di D. Buxtehude e J. S. Bach

organo Ivana Valotti

Padova, 11 e 12 ottobre 2011 DCS 738 Dynamic, 2012

Il nome di Dietrich Buxtehude potrà non dire nulla al tiepido amante della musica; qualcosa all'appassionato un po' più curioso, a chi abbia qualche reminiscenza o rudimento di storia della musica; molto di più al cultore del barocco e del repertorio sacro e liturgico. Nato nel 1637, tedesco di origini danesi, di natali, storia familiare e formazione ancora incerti, attivo prevalente fra la Danimarca e la Svezia prima, a Lubecca poi, dove morì nel 1707, Buxtehude è da considerarsi, massime in area luterana, un imprescindibile punto di riferimento nella storia della musica organistica, e non solo, essendosi dedicato con importanti risultati alla cantata sacra e alla scrittura per tastiera in generale (purtroppo perdute le sette suite cembalistiche dedicate al moto dei pianeti). Sviluppò la scuola iniziata da Heinrich Schütz (1585-1672), formatosi principalmente a Venezia, conferendo alla tradizione nordica una spiccata identità sulla qui strada si porrà poi l'esperienza di Bach. E proprio a Bach si intreccia a Buxtheude, in un'alternanza ordinata dal punto di vista tonale (o prototonale) secondo i rapporti pitagorici di quarta, quinta e ottava: Fa, Sol, Re, Do. Un modo per iscrivere, attraverso due generazioni, il cosmo in una proporzione universale musicale e matematica. D'altra parte le stesse suite astronomiche perdute di Buxtehude ci riportano alla teoria dell'armonia delle sfere celesti, di prima radice pitagorica, che fu d'ispirazione a Keplero per ipotizzare ome tale musica sublime non potesse essere generata da omogenei movimenti perfettamente circolari, ma da orbite ellettiche che potessero quindi produrre suoni nell'arco di un preciso intervallo, in una più perfetta, ciclica varietà. La concezione filosofica della musica come espressione di un'eterna, cristallina idea matematica a base dell'universo fonda anche la metafora dell'organo come strumento e voce divina, immagine, nella sua complessità, dell'opera del creatore e dello stesso creato. L'aria che attraversa le canne e dà vita al suono è come l'alito, lo pneuma divino che anima la creatura. La pluralità di registri, le possibilità polifoniche e l'immensa estensione ne fanno allegoria ideale della varietà e vastità del cosmo e non a caso per la copertina del CD si è scelta la riproduzione di un'incisione di Athanasius Kircher (1602-1680) raffigurante l'harmonia nascentis mundi in un organo in cui si manifestano le sei giornate della genesi e che reca l'iscrizione “Sic ludit inorbe terrarum aeterna Dei Sapientia”, in cui, val la pena ricordarlo, il verbo latino ludo è assai affine al francese jouer e all'inglese play, indicando il giocare, il recitare (in senso lato manifestarsi, comparire alla ribalta) come il suonare, il far musica. Quale immagine migliore per sintetizzare un principio compositivo che è tutt'uno con la filosofia, la cosmologia e la teologia del suo tempo? Che è voce, emanazione e icona del divino e del mondo, del creatore e del creato? In questo la devota elaborazione di Buxtheude e di Bach si avvicinano e si legano in vincoli indissolubili, benché si avverta comunque il passaggio generazionale da una sonorità più severa ma in forme più libere ed estroverse da una parte, rispetto a una scrittura più brillante ma strutturata con maggior compiutezza e rigore dall'altro. Una sfumatura, appena, ma intrigante per dire che il comune sentire e il legame storico fra i due all'interno di una scuola comunque aperta e curiosa rispetto agli stimoli esterni (la tradizione organistica tedesca è figlia diretta, abbiamo visto, di quella veneziana, e spartiti d'ogni nazionalità si scambiavano assiduamente da un capo all'altro dell'Europa) non devono essere letti solo in senso chiuso e teleologico.

Ivana Valotti, che firma anche le note di copertina, suona con passione, precisione e cognizione di causa un organo ricostruito sulla base di quelli nordeuropei per i quali scriveva Buxtehude. La cura filologica della proposta è confermata dalla precisione dei dettagli tecnici sugli strumenti riportati sempre nel libretto e sigla un prodotto di qualità, progettato e proposto con intelligenza.