La luce di Iolanta

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia apre la stagione operistico/sinfonica del 2018 con lo straordinario ‘Festival Čajkovskij’, di cui protagonista indiscusso è Valery Gergiev, direttore del pietroburghese Teatro Mariinskij. Oltre all’opera Iolanta, che aprirà l’incursione monografica nei capolavori del maestro del Lago dei cigni, Gergiev dirigerà l’intero ciclo sinfonico, fra i massimi esempi del sinfonismo di tutti i tempi per perfezione formale e profondità espressiva. Con un cast tutto russo, l’esecuzione di Iolanta risulta magnifica, aprendo con vero successo i lavori del festival.

ROMA, 11 gennaio 2018 – La temperatura pungente di questo gennaio romano è perfetta per celebrare al meglio Pëtr Ili’č Čajkovskij. Quale miglior interprete, poi, del russo Valery Gergiev, che tanta parte della sua vita artistica ha dedicato al compositore? Il primo appuntamento di questo festival monografico vede l’esecuzione in forma di concerto dell’ultima opera lirica di Čajkovskij, Iolanta. Opera assai rara da poter ascoltare in Italia: quindi, appuntamento che si presenta imperdibile per appassionati e cultori. A differenza della prosecuzione del festival, che vede Gergiev alla testa della sua orchestra del teatro Mariinskij eseguire l’integrale ciclo sinfonico del russo, una delle più sublimi espressioni del sinfonismo ottocentesco, per Iolanta Gergiev è a capo dei complessi nostrani dell’Accademia. Mi si permetta di dire che l’esecuzione è stata splendida: raramente ho assistito a una così ben realizzata armonia fra direttore ospite, orchestra, coro e cantanti solisti, tutti specialisti del repertorio e, ovviamente, russofoni. La musica, assolutamente stupenda, della partitura di Iolanta è porta con gusto finissimo da Gergiev, che esalta le atmosfere, le nuance fatate che tutti amiamo in Čajkovskij, come pure una scrittura calibratissima, che sa farsi sfumata o muscolare, ammiccante al repertorio francese come al più monumentale wagnerismo; ma che, soprattutto, veicola cristallinamente le più varie emozioni dell’opera; che scolpisce, nella mente dello spettatore, la situazione scenica. Il libretto del fratello del compositore, Modest Ili’č, si loda per una drammaturgia ben scandita, oltre che per la bellezza di taluni passaggi: il soggetto, che risale a Andersen, deriva da una pièce danese di Henrik Hertz ed è basato sulla cecità di Iolanta, principessa provenzale ignara della sua reale condizione e rinchiusa dal padre, il Re di Provenza, in un fatato giardino, sua perenne prigione aurea.

Veniamo ai dettagli. Il cast brilla per presenza vocale: nessuno escluso, cosa certo assai rara. Merito è anche delle scelte di Gergiev, giacché tutti orbitano più o meno strettamente attorno al teatro Mariinskij e sono quindi stati da lui attentamente selezionati. Stanislav Trofimov canta un possente Re René: la sua voce robusta, calda, ombrosa, gli consente di risultare sempre piacevolissimo e di stagliarsi nel fraseggio con eleganza. Palesa, poi, notevole potenza vocale, aprendo la voce con grande potenza: si pensi al suo arioso (n. 4), esempio perfetto, peraltro, dell’abilità con cui Gergiev accompagna le voci, permettendogli di svettare nella loro pienezza. Il conte Vaudémont è interpretato da Najmiddin Mavlyanov: una voce squillante, piena e svettante gli consente fulminea rapidità nei passaggi, mantenendo sempre un’uniformità del volume vocale, certamente notevole. Godibilissima la sua romanza (n. 6), dove questa sua abilità di verticalizzare la voce è assai palese (apprezzabile anche il filato finale). Momento clou dell’opera è, senz’ombra di dubbio, il duetto fra Iolanta e Vaudémont, momento in cui i due cantanti danno il meglio di loro e Gergiev dirige quasi volando da terra. Proporzioni verdiane e afflato wagneriano si mescolano in un momento di pura magia, delicatissimo per le sue implicazioni umane e che ha commosso – immagino – non solo me in sala. Vaudémont, infatti, fa capire a Iolanta di essere cieca nella famosa scena delle rose bianche e rosse, quando la ragazza, alla richiesta del conte di una simbolica rosa rossa, ne coglie due bianche, facendo stizzire il cavaliere che solo a poco a poco si accorge dell’infermità della fanciulla. Iolanta viene egregiamente cantata da Irina Churilova, che sa dosare una voce all’uopo potente, ma che esprime il meglio di sé nelle mezze-voci, nelle morbidezze. Il suo arioso iniziale, infatti, esce piacevolissimo; una certa qual algida chiarezza nel timbro le rende calzante il ruolo. Del duetto ho già lodato la riuscita; del finale s’è apprezzato lo squillo vocale dell’interprete e la resa generale del direttore, che ha saputo ben conferire energia e afflato mistico a un momento particolarmente etereo. Il dottore mauritano Ibn-Hakia è cantato da Roman Burdenko: il suo arioso d’argomento filosofico (n. 4) avrebbe meritato uno scroscio di applausi per la bravura dell’interprete di spalancare la voce a un volume incredibile, creando poi, nel corso del fraseggiare, effetti di colori chiaroscurali veramente notevoli. Il Robert di Alexei Markov, poi, si distingue per eleganza della voce, pienezza e coloritura brunita del timbro: l’esecuzione della sua aria (n. 5) rende certamente giustizia al pezzo. Tutti i comprimari hanno ben fatto il loro dovere: Andrei Zorin (Alméric), Yuri Vorobiev (Bertrand), Natalia Yevstafieva (Marta), Kira Loginova (Brigitta), Yekaterina Sergeyeva (Laura). Complimenti anche ai complessi dell’Accademia, straordinari al solito: al suo coro e alla sua orchestra, tra i migliori al mondo.

Le lodi più sentite vanno, com’è giusto, all’ottimo lavoro di Gergiev nel valorizzare il repertorio della madrepatria nel mondo. Che diriga le voci, parti strumentali, concertati ecc. lo fa con incredibile professionalità, meticolosità, accortezza, sensibilità, impareggiabile gusto. Non obliando, questo è certo, un certo qual piglio personale in più di un punto. Il risultato è, per ciò stesso, straordinario, unico. Attendiamo, allora, l’intero ciclo sinfonico di Čajkovskij.

foto Musacchio e Ianniello