Stelle splendenti nel profondo blu

 di Irina Sorokina

Riuscita inaugurazione della stagione lirica del Filarmonico di Verona con l'ultima tragedia verdiana: affascina l'allestimento di Francesco Micheli, convince la compagnia di canto con Kristian Benedikt, Monica Zanettin e Vladimir Stoyanov nei ruoli principali. Sul podio Antonino Fogliani concerta con cura e temperamento.

VERONA, 4 febbraio 2018 - Fortunati quelli che sono venuti al Teatro Filarmonico di Verona per vedere e ascoltare l’Otello verdiano, titolo di un grande richiamo che non si vede spesso. L’ultima volta si è visto in questa sala nel lontano 1990, con Giuseppe Giacomini, Piero Cappuccilli e Maria Chiara, tutti entrati ormai nella leggenda. Sarà la difficoltà di trovare un interprete dignitoso per il ruolo di Otello che impedisce la sua apparizione sui palcoscenici dei teatri dell’opera? Personalmente attribuisco questo fatto anche a un contrasto tra lo spirito eroico del personaggio di Shakespeare-Verdi e la vita d’oggi.

L’allestimento arriva dal Teatro alla Fenice di Venezia ed è firmato da Francesco Micheli (regia), Edoardo Sanchi (scene) e Silvia Aymonino (costumi), una squadra conosciuta e bel collaudata. Lo spettacolo dall’aspetto gradevole e poetico e drammaturgicamente funzionante è stato realizzato dal teatro veneziano in occasione del bicentenario dalla nascita di Verdi.

Tutto parte dall’impianto scenico ideato da Sanchi. La sua fantasia è ispirata dal cielo stellato cui fa iù volte riferimenti il libretto boitiano. All’apertura del sipario vediamo il bellissimo velario con le costellazioni dipinte e stupendi colori, nelle varie sfumature del blu. Dietro c’è un altro velario sui cui sono trascritte le parole shakesperiane che il Bardo mette in bocca a Jago: la spiegazione del suo odio per il Moro. Dopo pochi istanti dall’introduzione il secondo velario cade, sembra che una mano ignota provochi la sua caduta. Lo spettacolo inizia.

Una buona invenzione caratterizza il lavoro di Edoardo Sanchi che evita i riferimenti a una reale Venezia, tranne forse la bandiera del Leone di San Marco, e a una concreta attribuzione storica. La storia del Moro indotto in inganno dall’”onesto” Jago è senza tempo. Oltre al velario stellato, il protagonista dell’allestimento è un cubo girevole aperto da una parte. Molto versatile, si trasforma con facilità nella camera da letto degli sposi, nella stanza di Jago o in un salone dove quest’ultimo conduce il suo gioco contro Cassio. Può, inoltre, “ritirarsi” nella profondità del palcoscenico lasciando lo spazio libero alle scene di massa.

Una parola d’ammirazione meritano le poetiche luci di Fabio Barettin che valorizzano le pareti interni del cubo con fiori stilizzati incastrati tra loro e sono capaci di creare atmosfere magiche.

Molto belli i costumi di Silvia Aymonino che si riferiscono a più epoche senza provocare una sensazione acuta di disarmonia. Otello veste una giacca da marinaio scura con bottoni e spalline dorati, Jago, Cassio e Roderigo indossano una giacca bianca sempre da marinaio, la femminilità di Desdemona è esaltata dai bellissimi abiti scollati dalle varie sfumature d’azzurro e blu, mentre il sobrio vestito di Emilia ha chiari riferimenti alla silhouette e l’acconciatura della Belle époque. Gli ambasciatori veneziani appaiono in abiti militari simili a quelli che erano in uso nei primi due decenni dell’800.

Francesco Micheli gestisce l’azione con efficacia, attribuendole un ritmo serrato. Affronta piuttosto bene la difficile scena d’apertura. La tempesta viene creata con i mezzi minimalisti, il coro vestito in cappelli e abiti grigi agita le mani imitando le onde del mare impazzito, dietro esso si intravede una nave giocattolo. Otello appare adagiato sopra un cubo simile al piedistallo di un monumento e da lì intona il suo Esultate! In tutto questo c’è uno spirito naïf, che risulta, però, funzionale.

Lo stesso spirito si percepisce anche nella scena del saluto dei ciprioti a Desdemona venerata come una Madonna, e, difatti, accanto alla sposa di Otello è adagiata una statua dorata della Vergine simile come una goccia d’acqua a quelle che vengono usate nelle processioni.

Il piano diabolico di Jago ha inizio in una caserma con letti austeri color bianco, è lì che viene intonato "Fuoco di gioia". Anche il coro veste la divisa bianca, senza distinzione tra uomini e donne e addirittura tra Cassio e Roderigo. La follia giocosa si conclude col lancio in aria dei cuscini: un’altra sfumatura naïf dell’allestimento di Micheli. La rissa Cassio e Roderigo, ben ideata da Jago, si svolge sui letti spogli.

Non poche sono le trovate registiche in piena armonia con il senso e le dinamiche della partitura verdiana: il finale del terzo atto quando Desdemona viene divisa dal velario da tutti i personaggi e canta da sola sul proscenio togliendosi abito e gioielli e anticipando la sua triste fine, mentre successivamente Jago trionfante copre il corpo dell’Otello svenuto con la bandiera del Leone di San Marco che finge da sudario anticipando la fine pure del condottiero nero.

Molto toccante è l’atto finale. Desdemona, già in camicia da notte, confida la sua angoscia a Emilia sulla scena spoglia dove soltanto in un secondo momento appare il cubo con dentro il letto nuziale e la statua della Vergine. Ma quando viene il momento della morte, il letto rosso morbido sparisce e cede il posto a quel bianco austero visto nel primo atto, e al posto della Madonna splendente c’è Otello giustiziere in una lunga vestaglia dalle sfumature oro opaco.

Lo spirito naïf torna con i demoni rappresentati dai mimi che circondano Otello tormentato nel monologo "Dio, mi potevi scagliar", torna anche nel finale che cerca di alleggerire l’angoscia creatasi nel pubblico dalla fine immeritata della protagonista: Otello e Desdemona vengono uniti nell’aldilà, camminando insieme verso la luce eterna.

Uno spettacolo sensato, efficace, pittoresco e capace di toccare nel profondo dell’animo, quello di Micheli.

Sul palcoscenico del Filarmonico si è esibito un cast non soltanto dignitoso, ma in grande parte brillante.

Qualche dubbio riguarda il protagonista interpretato dal tenore lituano Kristian Benedikt. Dotato, senza dubbio, di uno strumento importante per il volume e lo squillo, pecca per delle eccessive forzature e qualche grido non appropriato. Tuttavia, i suoi meriti superano alla grande i suoi difetti. Riesce a trasmettere lo spirito eroico, rivelare l’animo davvero nobile e nel contempo sottolineare quanto è fragile questo glorioso condottiero nella vita privata. Benedikt è credibile nei panni del Moro, cosa rara di per sé. Un piccolo rimprovero andrebbe alla costumista che potrebbe provvedere alle modifiche del costume necessarie per il fisico dell’interprete, senza parlare della parrucca arruffata e le labbra color rosso chiaro, che rendono l’eroico Otello a tratti ridicolo.

È difficile desiderare una Desdemona diversa da quella rappresentata da Monica Zanettin. Oltre la voce ricca di sfumature, dal buon volume e dalla solida tecnica, la Zanettin possiede apprezzabili capacità attoriali e un gesto scenico elegante, vantando anche il physique du rôle. Non ci sono dubbi, è Desdemona: una donna pura, coraggiosa, fedele, dolce e comprensiva. Canta con grande sensibilità e trasporto, dimostra una linea di canto molto curata e un fraseggio elaborato. La sua interpretazione cresce da una scena all’altra; inizia forse un po’ sotto tono, come se la voce non trovasse la posizione giusta, ma piano piano questo difetto sparisce. La Zanettin raggiunge il massimo dello splendore nella seconda metà dell’opera, quando la sua voce, ormai scaldata e rafforzata, vola liberamente nel concertato che conclude il terzo atto e colpisce dalle sonorità profonde e toccanti nella Canzone del Salice e nell’Ave Maria.

Formidabile il Jago di Vladimir Stoyanov, un acclamato interprete verdiano. Può essere considerato LO Jago, quest’ometto dall’aspetto insignificante, da una figura che non dà certo nell’ occhio, un po’ calvo, a cui la divisa militare non si addice tanto. Uno della folla che gira per le strade. Uno con la faccia che non avrebbe permesso un minimo dubbio sulle buone intenzioni di chi la possiede. Lo Jago di Stoyanov è disinvolto, sembra un amico e un buon consigliere di tutti. Non usa mai i toni accesi, la sua voce è ben moderata. È un baritono dal colore chiaro in possesso di una dizione nitida, evita accuratamente le sforzature inutili. La sua interpretazione vanta tecnica fuoriclasse, musicalità superba, parola cantata impeccabile.

Mert Süngü è un ottimo Cassio, disegna un personaggio aitante e onesto che cade facilmente nella rete di Jago, ed è altrettanto aitante nel canto, che affascina per l’entusiasmo e il suo timbro ben squillante.

Merita molti elogi l’Emilia di Alessia Nadin, credibile nel ruolo della sposa di Jago che trova la forza di ribellarsi contro l’infame consorte. La Nadin può vantare di una voce calda dal timbro di miele, una grande musicalità e una bella presenza scenica. Davvero un’ottima prova.

Adeguati e attenti sono i comprimari: Francesco Pittari–Roderigo, Romano Del Zovo–Lodovico, Nicolò Ceriani–Montano, Giovanni Bellavia–un araldo. Superlativo come sempre il coro areniano preparato da Vito Lombardo.

Sul podio Antonino Fogliani che conduce l’orchestra della Fondazione Arena di Verona con una grande sapienza e un uguale temperamento che, però, non è mai eccessivo. Dirige con mano salda i complessi a lui affidati, mantenendo un ritmo serrato, in armonia col tono attribuito allo spettacolo dal regista. Presta una grande attenzione alle sfumature del declamato cantato, accompagna amorosamente gli interpreti e solo a volte accorre ai tempi un po’ elevati, come nel monologo di Otello "Dio, mi potevi scagliar".

Un successo pieno e meritato. Tanti applausi indirizzati a tutta la team.

foto Ennevi