sainoa hernandez e agostina smimmero

Le passioni e la Laguna

 di Antonino Trotta

La Gioconda di Amicare Ponchielli torna a splendere al Teatro Municipale di Piacenza. L’acquatico allestimento di Federico Bertolani e l’elegante direzione di Daniele Callegari contornano un cast eccezionale nelle voci protagoniste: trionfo indiscusso per Francesco Meli e Saioa Hernandez.

Piacenza, 18 Marzo 2018 – Solo un secolo e mezzo fa, sui muri di Milano e Venezia, la scritta «Viva Verdi!» ispirava un popolo che nella criptica esclamazione intesseva la frenesia per la musica e la bramosia di un’identità nazionale. Identità che, più di ogni altra, ha fatto dell’opera lirica il proprio tratto distintivo. È difficile non inorgoglirsi immaginando la solenne trepidazione alla Scala, prima dell’ouverture, squarciata dalla ricchezza di questo lapidario motto scagliato dal loggione come uno strale acuminato. E chi come me sedeva infervorato tra le poltrone del principale teatro piacentino ha potuto rivivere sulla propria pelle quella euforica ebrezza, scandita da un simile epifonema che millimetricamente anticipa il gesto del direttore prima del preludio: «Viva Ponchielli!». Una manifestazione che in maniera fulminea palesa l’entusiasmo con cui il foltissimo pubblico accoglie La Gioconda al Teatro Municipale, di ritorno in cartellone dopo quasi cinquant’anni d’assenza per celebrare il centenario della scomparsa del grande librettista (e compositore) Arrigo Boito, alias Tobia Gorrio nel firmare i versi per quest’opera.

La regia di questo riuscitissimo allestimento – in coproduzione con il Teatro Comunale di Modena e la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia – è affidata a Federico Bertolani, che trova nell’acqua la cornice e lo sfondo in cui immergere l’intera narrazione. Nei guizzanti flutti ballano briosi il popolo, i marinai, i mozzi e le maschere. I putrescenti acquitrini ristagnano quando Barnaba vi nasconde la maligna delazione. Nell’attonita palude che circonda la Giudecca, Gioconda riflette la propria disperazione e ivi si abbandona, esanime, sfiorando per l’ultima volta quel misterioso liquido che solo pochi atti addietro, prima ch'ella stessa vi versasse il veleno destinato a Laura, era rigoglioso sinonimo di festa e vita. I riferimenti alle ambientazioni di libretto si sostanziano nei lignei praticabili che attraverso differenti configurazioni circoscrivono lo spazio scenico e nell’enorme stendardo della repubblica marinara che imperante campeggia nel primo e terzo atto, quando viene lasciato cadere quasi a suggellare lo sgretolamento dell’assetto politico e sociale che sorregge l’istituzione. Nella cangiante dimensione acquatica, che solamente a tratti lambisce la dogale Venezia, le suggestive scenografie di Andrea Belli, genuinamente arricchite dalle luci di Fiammetta Baldiserri, lasciano adeguato spazio alla procellosa evoluzione psicologica dei personaggi, vero fil rouge dell’intero spettacolo. L’evidenza di questa lettura teatrale è ancor più suggerita dalla scelta di introdurre immediatamente lo spettatore nelle dinamiche emozionali che caratterizzano lo sgorgare della vicenda. Affrescando durante l’ouverture un tizianesco tableau vivant dove i protagonisti principali interagiscono tra loro, oltre alla possibilità di ammirare i bei costumi settecenteschi di Valeria Donata Bettella, Bertolani offre il prodromo logico alle sfrenate pulsioni sentimentali che nello scorrere vorticoso della storia si avviluppano in un soffocante abbraccio, purtroppo fatale. Impreziosiscono la splendida produzione i ballerini della compagnia Artemis Danza e le coreografie di Monica Casadei, calorosamente apprezzati durante la celeberrima Danza delle Ore.

Al timone della galea orchestrale composta dai musicisti dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, Daniele Callegari interpreta con eccezionale resa coloristica la densa trama musicale, coadiuvando con grande raffinatezza le architetture melodiche tardo ottocentesche e gli impulsi drammatici che preludono al verismo italiano generosamente disseminati in questa forbita partitura, proposta in versione integrale. Garante di un ottimo equilibrio tra buca e palcoscenico, la concertazione di Callegari coinvolge per i contrasti dinamici e agogici – impetuosi nei momenti di maggior passionalità e fluttuanti quando la narrazione si fa meno serrata – e per il generale senso dell’eleganza che protegge la resa musicale da eccessive ipertrofie sonore. Ottima la prova del Coro del Teatro Municipale e delle voci bianche del Coro Farnesiano di Piacenza, rispettivamente preparati dai maestri Corrado Casati e Mario Pigazzini.

Valido il cast schierato per queste recite, a cominciare dall’eccezionale protagonista che debutta (come, in realtà, quasi tutti gli interpreti i rispettivi ruoli) nei panni di Gioconda. Voce timbrata, smagliante nei poderosi acuti e fragorosa nella tessitura grave, Saioa Hernandez affronta con incredibile naturalezza le insidie vocali di un ruolo che sembra cucito su misura per il suo prezioso strumento. Affrescando una personalità così sanguigna e appassionata, il soprano spagnolo intavola una dialettica musicale cristallina fatta di vibranti accentazioni. Passando dalle stoccate più tenaci alle filature più intime, l’emissione preserva invariata rotondità e spessore e fa della nobiltà espressiva la chiave d’accesso a una vorticosa conflittualità interiore che da sola scandisce il ritmo dell’intera narrazione. Memorabile il suo «Suicidio!» dove la straripante intensità drammatica è meravigliosamente veicolata senza volgari esagitazioni o peroranti forzature.

Successo strameritato anche per Francesco Meli, punta di diamante della compagnia, che nella fluidità del canto sfumato individua la dimensione vocale in cui plasmare il suo Enzo. Seppur con qualche piccolo trucco del mestiere – portamenti e falsetti generosamente dosati - Meli porta a segno un’interpretazione che per accuratezza del fraseggio e varietà di accenti non trova rivali sul palcoscenico. Grande prova nella famosa aria «Cielo e mar», magistralmente eseguita e giustamente ripagata dal pubblico in sala, che riserva a lui gli applausi più calorosi della serata.

Nonostante l’influenza annunciata dal direttore artistico Cristina Ferrari, si ammira il Barnaba di Sebastian Catana – che sguazza per tutta la serata con i piedi nell’acqua! – per la protervia con cui questo Jago ante-litteram è tratteggiato nelle sue malefiche macchinazioni. E se l’indisposizione compromette in alcuni punti la purezza dell’emissione, il timbro voluminoso e ben tornito è garanzia di una performance di spessore.

Ancora il timbro è il punto di forza della Cieca di Agostina Smimmero. Della sua interpretazione si loda particolarmente la pastosità della voce, scura e profonda, omogenea in tutta la tessitura, precisa in acuto, delicata nel porgere. Molto buona l’intesa con la protagonista e toccante il duetto al primo atto. Meno convincente Anna Maria Chiuri nei panni di Laura, l’unica a non debuttare nel ruolo. Il personaggio è drappeggiato con delicato romanticismo ma non tutto quadra nel celebre duetto con Enzo: la tenuta vocale è periclitante nel registro più acuto e alcune puntature soffrono di imprecisione. Anche Giacomo Prestia desta riserve come Alvise e risulta maggiormente apprezzabile nei recitativi che nell’aria. Completano adeguatamente il cast Graziano Dallavalle (Zuàne), Nicolò Donini (un cantore), Lorenzo Izzo (Isèpo) e Simone Tansini (Un pilota/Barnabotto).

Scrosciante successo per questo spettacolo dove le logiche razionali cedono il passo al moto ondivago del delirio affettivo. Nelle acqua di Venezia distorte si riflettono le pene umane che imprigionano i protagonisti in una gabbia di sensuale irrazionalità e le passioni della laguna invadono il teatro come una misteriosa e densa foschia. Anche stavolta, il naufragar m’è dolce in questo mare.

foto Roberto Ricci