Vivaldi itriano, sbarco in laguna

 di Francesco Lora

Ripresa al Malibran, per il Teatro La Fenice, dell’Orlando già rappresentato a Martina Franca: immutati il problematico assetto testuale e una buona metà degli interpreti musicali, ma migliore il risalto di Loriana Castellano e referenziato l’arrivo di Francesca Aspromonte.

VENEZIA, 21 aprile 2018 – In questa rivista si è già dato conto dei gravi problemi d’approccio all’Orlando di Antonio Vivaldi, come riscontrati nell’allestimento del luglio scorso al Festival della Valle d’Itria [leggi la recensione]. Libretto e partitura sono stati lì presentati non in scrupolosa edizione critica, della quale si disponeva per la prima volta proprio in quell’occasione, bensì fraintesi, menomati e manomessi, con la solita corsa registica al sottotesto prima che al testo in quanto tale, e col comodo pretesto del doversi scorciare un’opera altrimenti troppo lunga (fantasie: eseguito per intero, il capolavoro vivaldiano si aggira su tre ordinarie ore di musica, non certo sulle quattro favoleggiate da chi ha usato le forbici e destrutturato il lavoro). Bene: a distanza di nove mesi quell’allestimento con regìa di Fabio Ceresa, scene di Massimo Checchetto e costumi di Giuseppe Palella è passato dall’aperto del cortile del Palazzo Ducale di Martina Franca al chiuso del Teatro Malibran di Venezia; cinque serene recite dal 13 al 21 aprile, comprese nella stagione lirica della Fenice. Immutati l’assetto testuale e il giudizio critico; meno entusiastica l’accoglienza del pubblico.

Perlopiù identica anche la parte musicale: si ritrova l’Orlando di Sonia Prina, sempre esuberante sulla scena ma amaramente lisa in smalto ed estensione; si ritrova l’Alcina di Lucia Cirillo, coinvolta con ogni impegno in una tessitura vocale tuttavia poco acconcia; si ritrova la Bradamante di Loriana Castellano, che per contro s’impone con raddoppiata autorevolezza contraltile; e si ritrova l’Astolfo di Riccardo Novaro, ora disinvolto in una scrittura che allora lo aveva posto in difficoltà. A Martina Franca il meglio lo aveva dato, insieme con la Castellano, la fresca Michela Antenucci come Angelica; a Venezia le è subentrata Francesca Aspromonte, giovane regina di brio, stile, levità, malizia ed eleganza. Tecnica fondata e porgere trepido in Carlo Vistoli come Ruggiero; qualche asprezza nel pur risonante Raffaele Pe come Medoro; riserve sull’opportunità di affidare a falsettisti tali parti (l’una amorosamente in contralto, l’altra scabrosamente in soprano). Condotta con modi svelti e sicuri la concertazione di Diego Fasolis, pur innanzi a una partitura dissestata dalla «revisione drammaturgica», e pur imbracciandosi gli strumenti non antichi dell’orchestra della Fenice.