Il capolavoro di Lenny

 di Stefano Ceccarelli

Una splendida versione in forma di concerto di West Side Story di Leonard Bernsteinha l’onore di aprire la stagione 2018/2019 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: sul podio, un Antonio Pappano perfettamente addentro alle sensuali screziature, ai ritmi travolgenti, ai momenti più poetici della musica di Lenny. Un cast straordinario consente al concertatore un’esecuzione magistrale della partitura. La scelta di West Side Story è un omaggio ai 100 anni dalla nascita del compositore, che quest’anno fa il paio con le celebrazioni rossiniane.

ROMA, 14 ottobre 2018 – Il 2018 è l’anno di Leonard Bernstein (ma anche di Rossini!): si festeggiano, infatti, i cento anni dalla nascita e, proprio il 14 ottobre, anche l’anniversario della morte, avvenuta a New York nel 1990. L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia non poteva aprire meglio la nuova stagione (2018/2019): l’indiscusso capolavoro di Bernstein, West Side Story, eseguito nella sua versione da concerto (‘San Francisco Symphony Concert Version’) e in una vivace e piacevole forma semi-scenica. A dirigere la celeberrima storia di Maria e Tony, novelli Giulietta e Romeo, è l’adamantino Antonio Pappano. La serata è un autentico successo: la sala è gremita di pubblico, che applaude e si commuove per un’esecuzione magistrale dell’eclettica partitura di Bernstein, che come un’ape nei giorni d’aprile sugge il nettare da svariati fiori, da svariati generi musicali, per creare un affascinante ibrido, un’opera liquida fra lirica e musical.

Sulla direzione del maestro Pappano non si può dire se non il meglio possibile. L’italo-inglese riesce, infatti, a sprigionare l’energia incredibile di ogni momento della partitura; e non parlo solo dei ballabili, quelli della dance at the gym, con l’irrefrenabile sensualità del Blues, il travolgente Mambo e il delicatissimo Cha-cha; ma mi riferisco anche ai più toccanti momenti vocali, come il finale, dove riesce a far persino piangere l’orchestra. Per non parlare, del resto, della sua abilità di puro concertatore, come si palesa nell’ensemble del finale I, «The Jets are gonna have their day». La perizia di Pappano, naturalmente, si riflette anche sulla millimetrica precisione dei vari pezzi d’assieme, strutturati spesso su ritmi cangianti e di non facile lettura, soprattutto per un direttore abituato, magari, a un repertorio classico. Insomma, Pappano fa emergere tanto la sfrontatezza tipicamente americana della musica di Bernstein, quanto la più soffusa delicatezza dei momenti d’introversa intimità.

Il cast è veramente incredibile. Sopra tutti si staglia l’incredibile Maria di Nadine Sierra, assolutamente perfetta [leggi anche la recensione del suo recente CD dedicato anche a Bernstein: There's a Place for Us]. Una voce sonora, squillante, duttile, piena, che riesce a interpretare ogni aspetto della giovane. I suoi duetti con Tony sono semplicemente smaglianti: commoventi sia quello della balcony scene («Tonight, tonight, the world is full of light») e della scena del matrimonio, che quelli del II atto, «Hold my hand and we’re halfway there» e il finale II, «Hold in my hand and we’re half there». Accenti toccanti e commoventi (si pensi alla frase «I love him») riesce a cavare anche dal duetto con la sorella Anita, «A Boy like That – I have to love». Se la Sierra dimostra di saper cogliere l’animo tenero e lirico di Maria, risulta altrettanto brava, anzi scintillante, smagliante, nei momenti più leggeri, come la deliziosa «I feel pretty, oh, so pretty», dove gioca di fino sul fraseggio e l’agilità. Per lei copiosi e meritati applausi. Alek Shrader, tenore emergente, fresco e giovane di voce e d’aspetto, ha il perfetto physique du rôle per Tony, che canta magnificamente, alternando il piglio virile alla dolcezza dell’innamorato, fin dall’iniziale «Could be! Who knows?». Naturalmente, il pezzo forte è la celeberrima «Maria»: Shrader gioca con i colori e con il fraseggio per suggerire una bruciante passione, quel tipico amore del tutto ideale dell’adolescenza (quello di Romeo e Giulietta, appunto), guizzando con la voce nella zona acuta (dove forse ancora c’è da lavorare) e abbandonandosi alla caratteristica principe della musica bernsteiniana, la sensualità. I successivi duetti con Maria, come la già citata balcony scene, lo vedono ancora centrato e in grande spolvero. Una performance incredibile che si merita gli applausi ricevuti. Straordinaria l’Anita di Ita Architto, sudafricana specializzata nel repertorio musical; con Aigul Akhmetshina, nel ruolo di Rosalia (che canta una splendida «Somewhere» dalle gradinate di galleria), ci regala un’indimenticabile esecuzione, trascinante, del famoso «Puerto Rico, you lovely island». Ma vorrei ricordare anche il già citato duetto con Maria, con quella scrittura così graffiante per il suo personaggio, che tenta di far dimenticare alla sorella l’amore per Tony. Il capo dei Jets, Riff, è cantato dallo spumeggiante Mark Stone, fulmineo e preciso nei mirabolanti passaggi di una parte stupenda ma impervia. Indimenticabili tanto il «When you’re a Jet», quanto il «Boy, boy, crazy boy»; nel «Dear kindly Sergeant Krupke» interviene, poi, perfino Pappano che, berretto in testa e fischietto in bocca, recita la parte di Krupke, con un’autoironia che solo un vero genio può palesare con tale disinvoltura. Doveroso complimentarsi anche con i comprimari: Andrea Giovannini (Action), Kris Belligh (Baby, John, A-rab, Snowboy, Big Deal, Diesel), Andrea D’Amelio (Bernardo), Francesca Calò (Consuelo), Marta Vulpi (Francisca).

Una serata di musica indimenticabile. Scommetto che – proprio come me – molti saranno usciti con la lacrimuccia per the most lamentable tragedy of the West Side.