Bach, l'inattuale

di Roberta Pedrotti

J. S. Bach

The Sonatas and Partitas for solo violin

Luca Fanfoni - violino

registrazione effettuata nella Chiesa di S. Andrea, S. Paolo di Torrile (PR), maggio 2011

2 CD Dynamic, CDS 758/1-2, 2013  

 

Onnivoro e sperimentatore, se fosse nato duecento anni dopo Johann Sebastian Bach sarebbe stato un compositore d'avanguardia. Non inventò molto, in realtà, ma ascoltò e lesse con inesausta curiosità, raccolse l'eredità tastieristica di Schütz e Buxtehude, carpì da Paul von Westhoff (1656-1705) e, forse, da altri la suggestione delle possibilità di una scrittura polifonica per violino solista, s'interessò delle questioni relative all'accordatura e all'evoluzione dei sistemi modali e tonali dando loro forma assoluta e astratta. Il legame creativo con il passato e il mondo circostante si sviluppava nel sacro, nel profano, in formulazioni di pensiero puro e cristallino perfino nelle loro accezioni mondane, perfino nelle forme e nei modi mutuati dalla prassi liturgica o dalla danza, dalla dottrina e dall'opulenza italiane, dallo sfarzo e dalla galanteria francese.

I colleghi nati due secoli dopo avrebbero visto nella sua identificazione fra musica e pensiero, nelle sue perfette architetture, celesti e terrene assieme, un punto di riferimento ineludibile, molto più dei suoi posteri più prossimi, di quel tardo Settecento che gli preferisce lo stile attuale dei figli e che, quando si volge ai grandi del Barocco, li trascrive, li riorchestra, li aggiorna; più di quel Romanticismo che, grazie a Mendelssohn, riscopre Bach, ma ancora una volta lo addomestica al gusto corrente, ne ritocca armonie e strumentazione.

È il caso della letteratura per violino solo, tre Sonate e tre Partite, che Schumann si sentì in dovere di normalizzare, trascrivendole per duo con il pianoforte, forma nella quale circolarono ampiamente nel XIX secolo, finché la nascente sensibilità novecentesca non scoprì l'affinità con il pensiero bachiano e tornò alle origini ripresentando anche la Partite e le Sonate nella voce di un solo – per quanto agile – archetto.

La scelta di Matisse per la grafica di copertina appare pertanto azzeccatissima in un'ottica di inattualità, la cui essenzialità scientifica entra in sorprendente commercio con la fisicità mondana, talora perfino popolareggiante, dei tempi di danza.

L'onore e l'onere di incarnare, per due ore e un quarto complessive di musica, l'esplorazione bachiana del violino solista spetta a Luca Fanfoni, che raccoglie la sfida forte di armi ben affilate e padroneggiate con maestria: è intonato, cosa non scontata nemmeno fra i mostri sacri dell'archetto, dosa le dinamiche con stile impeccabile e precisione chirurgica, fraseggia con personalità tagliente, ammiccando alla galanteria, al brio e alle morbidezze dei balli, anche popolari, ma sublimandone il carattere atemporale e assoluto. Il suo violino del 1690 ha calore, perfino una certa qual flessuosa sensualità di timbro, ma senza abbandonarsi a opulenze fuori luogo, sempre vigile e puntuale.

Abbiamo la sensazione di trovarci di fronte alla Musica pura, che può sorridere amabile e garbata, abbozzare un gesto aggraziato, ma nel cui sguardo specchiamo la vertiginosa profondità aritmetica del cosmo, la corrispondenza fra mondo e suono che la speculazione rinascimentale e barocca mutua dall'antichità e consegna alla moderna scienza, suggerendo un'anima al numero e alla formula.

L'equilibrio matematico è anche nella distribuzione dei brani, in alternanza fra Sonate e Partite, eseguite in ordine progressivo, sicché il primo CD veda due Sonate a incorniciare una Partita e viceversa il secondo. Il gioco dei rapporti fra le tonalità nell'ordine di esecuzione parrà invece capzioso, ma non sarà un peccato troppo grave cedere alla tentazione di percorrere il circolo delle quinte immaginando traiettorie fra un pezzo e l'altro: come la matematica, i sistemi musicali volentieri si prestano all'invenzione e all'elaborazione di combinazioni sempre nuove, di legami più o meno nascosti. È inevitabile, si direbbe, quando ci si trova di fronte a un'architettura così perfetta, composita, articolata e studiata nei dettagli più minuti. Quando si svela dalle forme fisiche, pratiche, concrete legate al gesto della vita comune, sacra e profana, e delle sue celebrazioni, questa sublime architettura risplende ancor più affascinante e rivelatrice, nel tempo e fuori dal tempo, secolare ed eterna, mondana e siderale, eco del rapporto cardine fra microcosmo e macrocosmo nelle riflessioni antiche e prefigurazione dell'avanguardia e delle speculazioni moderne.