La chimera del demiurgo

di Roberta Pedrotti

Liszt all'opera paraphrases and transcriptions

Andrea Trovato - pianoforte

Registrato a Montevarchi (AR), novembre 2011

CD Dynamic, CDS 7682, 2013

Sono lontani, per fortuna, i tempi in cui i Haydn e il giovane Mozart vestivano la livrea e mangiavano nelle cucine con i servitori, ma, nonostante tanti decenni di lotte sacrosante per il riconoscimento dei diritti e della dignità di tutti i lavoratori e, nello specifico, del diritto d'autore e delle professioni artistiche e intellettuali, non si può dire che oggi i musicisti o gli scrittori abbiano vita facile, come del resto non l'hanno in genere i lavoratori con cui già due secoli e mezzo fa dividevano l'umile desco. La fame è cambiata poco, poco è cambiato il rapporto fra chi “tien lo scrigno” e chi conta solo su mani e testa, con le relative eccezioni note fin dall'antichità. Si è evoluto, invece, il concetto di autore, per cui dalla sacrosanta tutela della creatività e de suoi frutti si è formata anche progressivamente – e paradossalmente, in un mondo dominato dalla riproducibilità tecnica dell'opera d'arte – un'idea di originalità come valore. Valore ambiguo, in realtà, utile in sede legale più che strettamente artistica, soprattutto quando molti, ai livelli più diversi, si fanno alfieri o dell'esplorazione di diversi linguaggi o della famigerata contaminazione di generi. Eppure dovrebbe trattarsi di una cura inutile, perché, come la purezza di razze umane inesistenti, anche la purezza delle arti e degli stili è una chimera, certo meno pericolosa, e talora nemmeno disutile, ma inafferrabile ed evanescente, utopistica nel migliore dei casi. Ma Palestrina e Bach erigevano i loro capolavori spesso e volentieri su temi e soggetti altrui, liturgici o popolari; e così da Schubert, Rossini, Verdi, fino ai giorni nostri, i grandi compositori non si sentirono in dovere di fissare sul pentagramma solo spunti melodici unici e originali. Anzi, quel che più conta era ed è la circolazione delle idee, il loro sviluppo, la loro elaborazione, la loro dialettica, la loro libertà. Semantica o asemantica, come quando Rossini estrapola un tema dal duetto fra calunniatore e calunniata nel suo Sigismondo (1814), ne fa il soggetto caratteristico dell'aria di Basilio nel Barbiere (1816) e lo sottintende al canto di Desdemona di fronte alle false accuse di Iago in Otello (1816); come quando Verdi trasforma il richiamo di un venditore ambulante in un inno sacro egiziano; come quando Busoni inserisce nell'esotica commedia dell'arte di Turandot le note inglesi rinascimentali di Greensleeves. O come quando Liszt, uscito dal teatro, poggia le dita sulla tastiera e la anima di eco e reminiscenze. Ne sortisce un repertorio tutto da esplorare, che dietro la maschera accattivante del gioco su temi celeberrimi offre un fecondissimo spettro di possibili letture e scambi di suggestioni. La filologia della prassi esecutiva ha già accarezzato la possibilità di scoprire, da trascrizioni strumentali, variazioni e usi vocali, ma, certo, meriterebbe la massima attenzione lo scambio reciproco – o, meglio, la koiné – nella tecnica, nello stile, nell'arte di abbellimenti, cadenze e improvvisazioni fra il canto umano e quello filtrato attraverso tastiere, archetti, legni e metalli.

Certo, si tratta di brani che nascono da una tradizione pratica, se non commerciale: in mancanza di mezzi di registrazione e riproduzione le trascrizioni rendevano possibile la fruizione salottiera delle pagine teatrali di maggior successo, ma i risultati vanno ben oltre questa concreta circostanza. E propongono un viaggio suggestivo nei meccanismi della memoria, con i temi che sorgono in genere da una sorta di virtuosistico e soffuso caos primordiale introduttivo, prendendo forma, rincorrendosi e intrecciandosi . E propongono soprattutto una formidabile analisi delle strutture più intime dei soggetti originali, così scomposti, ricomposti, rivelati, rivissuti in forme che, scopriamo, erano loro proprie, ma nascoste e insospettabili. E svelano un amore profondo e consapevole, vissuto alla pari, senza pretesa di migliorare, ma con passione sensuale che compenetra ogni piega della scrittura, con analitica lucidità che ne astrae temi e strutture. Si sarebbe, per esempio, immaginato che il coro “O meschina, o fato orrendo” potesse attingere a tale altezza poetica, se non più costretto come tempo di mezzo fra pagine ingombranti come “Fra poco a me ricovero” e “Tu che a Dio spiegasti l'ali”? Eppure se il finale di Lucia di Lammermoor è il capolavoro che conosciamo lo è anche per questa marcia cui Liszt dedica un'attenzione particolare, mettendone in evidenza il topos metrico che Frits Noske ha definito motivo esogeno della morte e che ritroviamo nel "Miserere" dal Trovatore (altro tempo di mezzo che però la tradizione ha consacrato quasi a numero autonomo, cassando per lunghi decenni la cabaletta seguente e portando Verdi a riproporlo, a suggello del dramma, nella versione francese dell'opera). Senza la chimera dell'originalità e dell'unicità assoluta, non dell'unicità dell'interpretazione di un medesimo materiale, e la diffidenza verso il materialismo di partiture che si potevano vendere bene, ed eseguire con gran successo nei salotti borghesi e nelle sale da concerto, le trascrizioni e le reminiscenze operistiche di Liszt meriterebbero la più alta considerazione e nella speculazione estetico musicologica e nell'interpretazione dei grandi pianisti. Lo conferma la breve ma eloquente selezione di questo Cd Dynamic: Réminescences de Lucia di Lammermoor; Marche et cavatine de Lucia di Lammermoor; Miserere du Trovatore; Rigoletto: paraphrase de concert; Salve Maria de Jérusalem; Danza sacra e Duetto finale da Aida; Pilgerchor aus Tannhäuser; Isoldes Liebestod aus Tristan und Isolde. Dagli italiani al genero e amico Wagner, un autentico e fecondo incontro di artisti, creatori e ricreatori. Suona Andrea Trovato, con gesto fluido e sensibilità al rapporto fra la radice teatrale e la trasfigurazione lisztiana. Anche senza interpretazioni epocali, è sempre un piacere ritrovare tanta dedizione a una causa, specie quando, come in questo caso, si tratta di musica degna della maggior considerazione, sulla quale non si smetterebbe mai di riflettere.