jeremie rhorer

A lezione d'armonia con Jérémie Rhorer

 di Alberto Spano

Concluse le recite dei Dialogues des Carmélites, Jérémie Rhorer completa la sua prima esperienza bolognese con un concerto sinfonico con i complessi del Teatro Comunale. Il direttore francese, formato e affermato in ambito barocco, continua a convincere anche in un repertorio tardo ottocentesco e novecentesco.

BOLOGNA, 18 marzo 2018 – È bella e utile la tradizione ormai invalsa da alcuni anni al Teatro Comunale di Bologna di far dirigere un concerto sinfonico al direttore d'orchestra ospite che ha appena terminato le recite dell'opera in cartellone. Soprattutto quando questo direttore non è noto al pubblico, e men che meno all'orchestra. Poiché in tal modo si ottimizza il lavoro svolto dal suddetto con i complessi del teatro in almeno tre settimane. La confidenza (anche umana) acquisita in tanti giorni consente a maestro e strumentisti di imparare a conoscersi, e spesso alla fine delle recite bastano pochissime ore di prova per affrontare molto rapidamente un programma sinfonico anche piuttosto denso. È stato il caso del bel concerto in cartellone il 18 marzo scorso al Teatro Manzoni col direttore francese Jérémie Rhorer (musiche di Dukas, Caikovskij e Rimskij-Korsakov), il quale era arrivato in città alla fine di febbraio per concertare le quattro fortunate recite al Teatro Comunale dei Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc [leggi la recensione], seconda opera in cartellone 2018, il cui allestimento proveniva da Parigi e Bruxelles. Quarantacinque anni, clavicembalista di gran livello, poi passato alla bacchetta sotto l'egida di Marc Minkoski e William Christie, Rhorer era sicuramente uno sconosciuto al grande pubblico, ma non lo era a chi segue la musica barocca eseguita con gli strumenti originali e la prassi d'epoca, genere di cui Rhorer è campione riconosciuto, come stanno a testimoniare tante sue collaborazioni (anche discografiche) con eminenti barocchisti (uno su tutti il controtenore Philippe Jarrouski) o, più recentemente, il soprano tedesco Diana Damrau, con cui ha realizzato il riuscito album “Donna” (Virgin, 2008), vale a dire una carrellata di arie mozartiane alla testa della sua creatura barocca, Le Cercle de l'Hamonie. È abbastanza frequente che chi proviene dal “barocco spinto” come può essere Rhorer, quando si trova davanti orchestre moderne e strumentisti di ex enti lirici, faccia un po' fatica a farsi intendere. Incidenti di percorso anche piuttosto spiacevoli sono lì a testimoniarlo, in tutti i migliori teatri del mondo. La curiosità di ascoltare Rhorer alle prese con un'opera moderna/contemporanea qual è di fatto i Dialogues di Poulenc (composta nel 1956) e poi in un denso programma sinfonico tardo-romantico era dunque considerevole, e si era pronti a cocenti delusioni. Nulla di tutto ciò: Jérémie Rhorer è sicuramente un musicista molto preparato e dotato di talento indubbio. Come molti strumentisti barocchi passati al podio possiede un gesto semplice, essenziale, a volte un po' rudimentale, ma non certo sporco o impreciso. Le sue idee sono chiare, sa quel che vuole e lo ottiene anche con poche parole e poche correzioni, stando quasi sempre immerso nella partitura.

Il risultato è degno della sua fama: nella rarissima ma piacevole ouverture per la tragedia di Corneille Polyeucte di Paul Dukas che apre il programma, Rhorer calibra perfettamente sonorità e fraseggi, ha un passo elegante e sobrio, lascia all'orchestra espandere la sua voce. L'occasione è fra l'altro doppiamente felice poiché per la prima volta si possono ascoltare in concerto dalle mani del valente Andrea Scarpa i nuovissimi timpani Hardtke Berlin donati al Comunale da Carlotta Cocchi, Domenico De Leo e Leonello Venceslai, tre cittadini/abbonati che hanno meritoriamente aderito all'appello “Dona uno strumento al Teatro Comunale”. La cristallina chiarezza di lettura, frutto di serietà e di buon gusto accumulata nel repertorio barocco e anche in recenti avventure in quello contemporaneo, sortisce buoni effetti anche nella resa della poco nota versione del 1869 dell'ouverture-fantasia Roméo et Juliette di Pëtr Il'ič Čajkovskij , in cui non un ette di sonorità va sprecata dal direttore francese, il quale sostanzialmente è interprete portato a “togliere” piuttosto che l'opposto. Qualche spettatore amante della foga declamatoria forse se ne dorrà, ma chi scrive apprezza questa equilibrata rilettura del capolavoro čajkovskijano, ripulito da certe insopportabili incrostazioni e sottolineature romanticizzate. Considerazioni simili si fanno all'ascolto della seconda parte del concerto, in cui Rhorer concerta con ammirevole saggezza la favolosa partitura di Shéhérazade, la suite sinfonica op. 35 di Nikolaj Rimskij-Korsakov. Rhorer anche qui lascia respirare l'orchestra, la domina ma non la violenta, ne conosce i pregi e limiti e non si avventura in velocità e sonorità eccessive. E valorizza al massimo, preparandogli terreno fertile, le belle doti solistiche del violino di spalla, l'olandese Willem Johannes Blokbergen, che nel suo celebre assolo sfodera un suono limpido, intonato e penetrante.

Il pubblico della domenica pomeriggio (bella novità del 2018 che speriamo venga mantenuta dalla nuova governance del Comunale) applaude convinta la prova sinfonica di questo nuovo (per noi) direttore, che ha imparato ad apprezzare poco a poco, e che si spera si possa riascoltare presto in altri repertori.

foto Rocco Casaluci