Lupu e il mondo

 di Francesco Lora

Nei più recenti concerti italiani del sommo pianista, e in particolare a Bologna per Musica Insieme, un programma-monografia dedicato a Schubert: declino tecnico e supremo poetico.

BOLOGNA, 25 marzo 2018 – È complimentoso ma viepiù inesatto riferire di Radu Lupu come di pianista venuto da un altro mondo. Ne han dato conto i più recenti concerti tenuti in Italia, con un programma-monografia dedicato a Schubert: il 21 marzo a Torino per l’Unione Musicale, il 23 a Milano per la Società del Quartetto, il 25 a Bologna per Musica Insieme, il 27 a Firenze, infine, per il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e gli Amici della Musica. Questa recensione è relativa alla serata bolognese, inserita nella principale rassegna dell’istituzione che più di ogni altra è, in città, il regolare, attento, discreto mezzo d’incontro tra il pubblico navigato e i prìncipi della musica sinfonica e da camera. L’usata e introversa signorilità, più un vistoso affaticamento fisico: riapparendo Lupu al Teatro Manzoni, ecco l’ammissione del suo essere materia umana, corpo anziano, arte pudica, mente vegliante. In programma, i Six moments musicaux op. 94 D 780, la Sonata n. 16 in La minore op. 143 D 784 e la Sonata n. 22 in La maggiore D 959; schubertiano anche il bis: l’Impromptu in La bemolle maggiore op. 142 n. 2 op. 935. L’astratta e umorale imprevedibilità dell’invenzione, nel compositore qui in oggetto, deforma l’oggettiva percezione temporale, e non solo nei Six moments che, minutamente scritti su carta, vorrebbero fingere i modi di chi si ponga alla tastiera per improvvisare: la tesi qui ripresa è da Lupu non solo stata dimostrata, ma anche doppiamente affermata nel vivo dell’esecuzione. All’ascolto: tempi dilatati fino ai limiti di tenuta della frase, gamma dinamica che esclude stoica gli estremi, colori parchi nei quali ricade il peso delle braccia, aloni stesi malgrado l’uso minimo del pedale, impeti romantici ridotti a scala di pentimenti; un discorso fatto di pochi cenni e quasi sacri, avido di pausa, dubbio, indugio e silenzio, sorto come confidenza interiore e giammai come conversazione vivida, infine capace – al solito – di appendere l’orecchio a ciascun suono, finanche quello che balzi profano dal tasto sbagliato. Dal comune mondo suo e nostro, è pur vero, Lupu schiude la mente a un altro.