Mozart, Beethoven…e Prokof’ev

 di Stefano Ceccarelli

Nicola Luisotti torna a dirigere all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in un concerto che spazia per epoche e gusti: dalla Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93 di Ludwig van Beethoven, passando per tre arie da concerto di Wolfgang Amadeus Mozart scritte per l’amata Aloysia Weber, e concludendo con la Sinfonia n. 7 in do diesis minore op. 131 di Sergej Prokof’ev. Le arie mozartiane sono interpretate dalla splendida voce di Sabine Devieilhe.

ROMA, 21 aprile 2017 – Nicola Luisotti, che sta portando avanti una brillante carriera negli Stati Uniti, è il direttore scelto per interpretare un programma che, a una prima occhiata, appare quasi come un singolare piatto misto: l’Ottava di Beethoven, le arie da concerto di Mozart e la Settima di Prokof’ev.

Luisotti approccia l’Ottava di Beethoven, forse la meno eseguita delle sinfonie, ‘schiacciata’ – per così dire – dal peso della Settima e dal peso massimo della Nona, con una certa monotonia agogica, che scurisce il ritmo dell’iniziale Allegro vivace e con brio. Il gusto di Luisotti, prettamente attento alla bellezza del suono (alla Karajan, per intenderci), rende gradevole l’Allegretto scherzando, giocato sui guizzi degli strumenti e sul ticchettare, quasi, dell’orchestra (è un omaggio al Mälzel inventore del metronomo): eppure, il tutto ancora non brilla. Lo stesso dicasi per il singolare Minuetto, l’unico scritto da Beethoven per un movimento sinfonico, che ha un’aria davvero singolare; il Finale, soprattutto, manca di mordente. Gli applausi sono cordiali, ma flebili. Il che è un peccato, perché l’orchestra ha suonato, al solito, splendidamente.

Tutto cambia quando fa il suo ingresso la bellissima Sabine Devieilhe, un soprano di coloratura dalle doti tecniche notevolissime e dal timbro aurato; la voce, ‘piccola’ ma centrata, è un incanto. Luisotti, infatti, pare quasi trasformato, in agogica soprattutto: sostiene le arie da concerto mozartiane con perizia e gusto, permettendo alla voce di svettare chiara, senza tralasciare di valorizzare la florida orchestrazione del salisburghese. La Devieilhe interpreta benissimo le varie puntate in acuto, espressione dell’amore infelice, ma anche l’erotica dolcezza della melodia di «Vorrei spiegarvi, oh Dio!» (K. 418): cominciamo subito a percepire il suo talento migliore, quello di aprire con incredibile chiarezza, uniformità, in acuto. Nell’aria tratta dalla celeberrima Olimpiade di Metastasio, adattata anche per voce maschile da Mozart, «Alcandro, lo confesso…Non so d’onde viene» (K. 294), la francese ci mostra il suo smagliante talento di fraseggiatrice, oltre a regalarci una bellissima interpretazione dell’aria. La più spettacolare delle arie da concerto, non foss’altro per quel famoso sol sovracuto (la nota più alta mai scritta per una voce umana), è «Popoli di Tessaglia!... Io non chiedo, eterni dèi» (K. 316), che la Devieilhe affronta profondendo tutto il pathos di Alcesti di fronte all’annunciata morte dell’amato marito Admeto: e le vertiginose salite finali arrivano prodigiose, come pure il sol sovracuto. Gli applausi, calorosi, e i numerosi ‘brava!’ ripagano lo sforzo della francese, che porta, per la prima volta assieme nell’era moderna, sul palco dell’Accademia queste tre perle mozartiane.

Il secondo tempo è tutto dedicato al capolavoro della Settima di Prokof’ev. Luisotti pare quasi galvanizzato e le asteniche agogiche dell’Ottava di Beethoven lasciano il passo a una concertazione magnifica e godibilissima dell’estremo capolavoro del russo. La melodiosa robustezza del Moderato, che fa crescere il lirismo con impareggiabile finezza; il brillante ma personalissimo valzer nell’Allegretto (II); il tema con variazioni dell’Andante espressivo, così denso e vibrante nelle soluzioni cromatiche degli strumenti; e, infine, il Vivace, che sfrutta l’energia ritmica del rondò per poi approdare a un finale che, citando il secondo tema del I movimento, sancisce una chiusa onirica; tutti i movimenti sono interpretati valorizzandone le specifiche peculiarità. Il finale diede da pensare agli indefessi censori staliniani, che imposero a Prokof’ev un pezzo di maggior pompa. Naturalmente, Luisotti esegue il finale originale: e gli applausi sono meritatissimi.