Il salotto del poeta

 di Roberta Pedrotti

Il recital di Michele Pertusi, con Richard Barker al piano, illumina di classe e intelligenza un programma che dal Settecento si muove in un crescendo fino ai cicli di Ravel e Ibert dedicati a Don Chisciotte.

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PESARO, 20 agosto 2018 Il Rof si avvia a celebrare i suoi quarant'anni e fra i simboli degli ultimi due decenni del festival non si può non riconoscere Michele Pertusi. Assur, Maometto II, Guillaume Tell, Moise, Lord Sidney, Mahomet, il Podestà Gottardo, il Duca d'Ordow, Don Basilio a Pesaro, altrove anche il Conte Asdrubale, Selim, Mustafà, Alidoro, il Faraone fra le gemme della corona rossiniana del basso baritono parmigiano.

Accanto al suo fondamentale contributo al successo meritatissimo del Barbiere di Siviglia, la presenza di Pertusi nel centocinquantesimo dalla morte di Rossini è stata coronata da un Concerto di Belcanto che è stato, ancora una volta, una lezione di stile, arte, poesia.

Un programma in crescendo scorre da Handel e Mozart fino ai cicli di Ravel e Ibert dedicati a Don Chisciotte, attraverso Rossini, Bellini, Verdi, Mascagni. È tutto costruito con raffinato spirito cameristico, tant'è che si appropria anche, secondo tradizione, dell'aria contraltile di Demetrio dalla Berenice, già amata in concerto da bassi e baritoni per l'opportunità cantabile che offre a una voce grave. Da lì al Mozart di “Per questa bella mano” KV 612 il passo è naturale e rammenta l'intramontabile, innata affinità del modo di porgere di Pertusi con la scrittura del Salisburghese. La cavata preziosa che si dipana nel legato perfetto, nell'arte sottile dell'inanellare i suoni uno nell'altro mantenendo nitida e netta l'articolazione della nota e della parola, della poesia, della prosodia, del significato più intimo. Ispirata La speranza rossiniana, nobilissime e appassionate Malinconia, ninfa gentile e Ma rendi pur contento di Bellini, intense senza trascendere in una teatralità fuori luogo Nell'orror di notte oscura e In solitaria stanza di Verdi. Qui l'arcata della voce, dalla delicatezza stilizzata del Settecento, si tornisce sempre più in un colore naturalmente sempre più corposo, caldo, avvolgente. Così conferisce eleganza e trasporto anche alla Serenata di Mascagni.

Richard Barker dosa parimenti il gesto pianistico nel percorso dal Settecento all'Ottocento inoltrato senza tradire la costante cameristica e una comune chiavi di lettura. Due pezzi solistici fanno da intercalare al canto di Pertusi prima del blocco conclusivo dedicato a Don Chisciotte: il Notturno n. 5 di John Field e l'Allegretto moderato dai Quelques riens pour album nel dodicesimo volume dei Péchés de vieillesse.

Nel 1933 uscì il film Don Chisciotte di Wilhelm Pabst, protagonista Fëdor Šaljapin. Maurice Ravel stato incaricato di comporre una serie di brani per il protagonista, ma, a causa dell'incidente automobilistico e dei conseguenti problemi celebrali che ne devasteranno gli ultimi anni di vita, non riuscì a portare a termine in tempo il ciclo Don Quichotte à Dulcinée, che rimarrà il suo testamento musicale. La pellicola, frattanto, sarà completata con le musiche di Jacques Ibert, autore delle Quatre chansons de Don Quichotte. Ascoltare i due cicli consecutivamente, in uno stesso concerto, è un piacere non comune, tanto più in un'esecuzione eccellente come quella che garantiscono Pertusi e Barker. Anzi, la compenetrazione acutissima dell'artista parmigiano nel Chevalier à la triste figure ci ricorda quanto sia deplorevole che solo una volta gli sia stata data occasione di interpretare in scena lo stralunato eroe di Cervantes nell'opera di Massenet (Torino 2004). Si sarebbe in tempo a rimediare, se qualche direttore artistico avesse voglia di accogliere l'appello.

Intanto ci godiamo il sofisticato intreccio suggerito da Ravel fra ritmi iberici e soluzioni armoniche all'avanguardia, in commercio anche con il jazz; intanto ci godiamo lo spirito sofisticato, la sottigliezza della scrittura che si destreggia con abilità anche fra suggestioni popolari in Ibert. Ci godiamo l'intelligenza di fraseggio condivisa fra voce e pianoforte, sicché, al termine del programma, ci troviamo rapiti dall'arte raffinatissima, dall'anima di Don Chisciotte che prende vita in musica.

Dopo l'estasi spirituale, a gran voce si reclamano i bis, che ci trasportano in territorio operistico, ma senza rinunciare a sorprendere con il recupero di pagine un tempo favorite da storici interpreti e ora pressoché scomparse dai programmi discografici e concertistici, per non parlare che dai cartelloni dei teatri. “Fu Iddio che disse: O figlio”, l'aria di Ferdinando dall'Ebreo di Apolloni (1855), è un'occasione per ascoltare con il canto ampio e nobilissimo di Pertusi un esempio lampante dello stile italiano contemporaneo a Verdi, un pezzo accattivante non privo di soddisfazioni per interprete e pubblico. È poi la volta di una puntata alla storia dello stile francese, con l'aria del Tamburmaggiore da Le Caïd di Thomas (1849), pagina brillante e spiritosa incisa anche da grande Pol Plançon, l'archetipo storico, testimoniato dall'archeologia discografica, del basso francese e uno dei modelli ideali di Pertusi.

Per chiudere, si torna nel salotto vero e proprio. Non più arie che resistono accanto al pianoforte alla sparizione dei titoli dalle scene, ma romanze che per il pianoforte e un pubblico raccolto nascono. Vieni! di Denza è un altro di quei pezzi che potrebbero costeggiare placidamente il repertorio come un disimpegno per belle voci, ma che s'illuminano improvvisamente quando si vestono del velluto, del legato, della chiarezza, della classe di un artista come Pertusi.

Applausi calorosissimi. Come è giusto che sia.

 

foto Amati Bacciardi