Se fiato in corpo avete

 di Roberta Pedrotti

Carlo Lepore e il Nonetto di fiati del Teatro Comunale di Bologna offrono una lettura piacevole e originale di un repertorio che dal mistero fiabesco della Zauberflöte giunge a capolavori buffi di Mozart, Rossini, Donizetti.

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PESARO 21 agosto 2018 - Fuori dal teatro d'opera, nel repertorio che dal teatro d'opera proviene, la voce s'accompagna per lo più al pianoforte. Nei due pentagrammi affidati a mano destra e mano sinistra si condensano le armonie fondamentali dell'intera orchestra. Ma non è sempre solo così. Capitano anche trascrizioni per altri strumenti, altri ensemble, fra cui il nonetto di fiati. Oramai un po' desueto, ma non privo di fascino, ce lo ripropongono alcune prime parti dell'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna con la voce solista di Carlo Lepore. Artisti di qualità, che ci mostrano come il travestimento musicale in diverso organico non sia solo un ripiego per esecuzioni extrateatrali, ma possa rivelare piacevoli sorprese o spunti di riflessione.

L'impasto dei fiati, per esempio, si confà alle atmosfere della Zauberflöte mozartiana, fra dolcezza e mistero, amplifica nelle ouverture rossiniane della Scala di seta e della Cenerentola la cantabilità delle frasi già scambiate fra corni, clarinetti e oboi, ma si piega assai bene al passo sornione e danzante della sinfonia di Don Pasquale. Talora, invece, si mette in luce la differenza idiomatica nel passaggio da uno strumento all'altro, soprattutto quando si tratta dei tempi d'emissione e articolazione di alcuni passaggi caratteristici, come le prime battute dell'opera donizettiana o certi accompagnamenti ostinati. Tutto traspare con chiarezza negli arrangiamenti di Stefano Squarzina e i professori bolognesi confermano come l'orchestra del Comunale disponga di ottimi solisti, fra cui i pilastri storici del complesso Devis Mariotti (flauto), Paolo Grazia (oboe), Guido Giannuzzi (fagotto), senza dimenticare Gianluca Pellegrino (oboe), Simone Nicoletta e Adriana Boschi (clarinetti), Stefano Pignatelli e Sergio Boni (corni) e Massimo Ferretti Incerti (fagotto).

La simbiosi del respiro fra strumenti a fiato e voce umana è delle più naturali, e l'unione sonora si esplicita subito nella preghiera “O Isis und Osiris” da Die Zauberflöte. Lepore appare ben a suo agio nella tessitura e nell'ispirazione sacrale, ma soprattutto coglie con l'ensemble strumentale un raccoglimento prezioso, che fa di quest'aria forse la perla del concerto. Se non altro un unicum, prima di un'allegra e brillante cavalcata buffa in cui, più del cantabile dolce e pensoso, la fan da padroni sillabato, virtuosismo, malizia e arguzia.

Musicalità asciutta, pulita, chiarezza di dizione, cura consapevole della parola: ecco Leporello, Don Profondo (forse un po' meno comodo nella tessitura acuta dell'implacabile sezione finale), Mustafà, Don Magnifico, Don Pasquale, per finire con il Don Pomponio della Gazzetta, in cui non solo Lepore può sfoggiare spiritoso il natìo idioma partenopeo, ma anche Simone Nicoletta può esibirsi come attore nei panni del servo Tommasino.

Ci si diverte, con un programma spumeggiante, ma si ascoltano respiri e accostamenti timbrici che permettono di apprezzare nuove sfumature di queste pagine, mantenendo sempre un'eleganza di fondo. Un'eleganza che permane anche quando Lepore s'improvvisa percussionista per sottolineare il “colpo di cannone” nella "Calunnia" offerta come, festeggiatissimo, fuori programma.

foto Amati Bacciardi