Ripensare il noto

 di Mario Tedeschi Turco

Mikko Franck esalta le qualità dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia con una lettura intelligente, che ripensano il noto per renderlo meglio conosciuto. Nondimeno notevole, la caratura d'interprete di Sol Gabetta, solista al violoncello per questa serata di chiusura del Settembre dell'Accademia Filarmonica di Verona.

VERONA, 22 ottobre 2018 - Che l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sia degna di non sfigurare a fianco delle migliori compagini europee si dice ormai da molti anni, specie da quando Antonio Pappano ne ha preso le redini nel 2005, quale Direttore Musicale. Il concerto che ha chiuso il «Settembre dell’Accademia» al Filarmonico di Verona non ha fatto che confermare tutto quanto di buono questo ensemble ha già ampiamente dimostrato: archi di meraviglioso velluto; ottoni addirittura straordinari per intonazione e coesione dinamica; compattezza, precisione, respiro comune dell’intero corpo sonoro, che giunge all’ascoltatore con brillantezza adamantina. A maggior ragione se sul podio c’è un direttore di spiccata personalità come Mikko Franck, il quale adopera lo strumento ceciliano con una visione interpretativa di rilevata originalità. Il Romeo e Giulietta di Čaikovskij attacca con piani timbrici molto analitici nella loro differenziazione. Nessun impasto pre-impressionista, nessun flou decadente, la qual cosa permette di udire con singolare nitore i disegni dei fiati sopra la rete degli archi, per esempio, in una sonorità estremamente dettagliata, netta e precisa. In questo Čaikovskij c’è bensì il canto, com’è necessario che sia, ma privo di visceralità, come se Franck volesse mettere da parte il languore onde sottolineare l’epica, la narrazione più che l’abbandono lirico. Assumono così particolarissimo spicco le sincopi violente, i conflitti dinamici, il cozzare dei ritmi diversi, in una farsi discorso del flusso musicale travolgente, che rappresenta una validissima alternativa sia allo sfinimento sublime messo in primo piano dai direttori di scuola tedesca, sia al pathos survoltato dei Maestri russi. Una bellissima riuscita, di quelle che ti fanno pensare al noto rendendolo meglio conosciuto, per riprendere il celebre nesso dialettico.

Con la Seconda sinfonia di Sibelius, cui è stata dedicata la seconda parte del concerto, il finlandese Franck ha giocato in casa, per dir così. L’idiosincrasia del compositore è ritornata ricca di sfumature e di varietà: nel primo movimento si è ascoltato uno sbalzo scultoreo del progressivo precisarsi tematico, ancora una volta cogliendo l’epos – essenziale in Sibelius – che poi si è udito, per esempio, nel modo in cui le pause del Vivacissimo al terzo movimento sono state tenute da Franck, declinando una dialettica di turbamento-attesa-tensione-risoluzione di grande effetto. Se il timbro sombre del secondo movimento non ha impedito all’agogica di scorrere senza indugi, così che la drammaticità pur rabbiosa non ha aduggiato l’elegia accorata di cui questo Andante è pur sempre contesto, nell’Allegro moderato conclusivo i micro-motivi melodici, a volte, sono apparsi un po’ sacrificati. Ma la scelta di Franck, anche in questo, è stata perfettamente coerente, il decorso cinetico della Sinfonia essendone maggiormente rilevato, così che la successione complessiva di dialettica interna tra Re maggiore, Fa diesis minore e La maggiore ha reso evidente (secondo l’interpretazione di Veijo Murtomäki) la struttura tipica dell’architettura su tre tonalità d’impianto di ascendenza schubertiana prima, e lisztiana poi. Che è carattere fondante di buona parte del sinfonismo “epico” di Sibelius, del resto.

Tra Čaikovskij e Sibelius, a chiudere la prima parte della serata, il Concerto per violoncello di Edouard Lalo ha permesso di ascoltare una solista di assoluto rilievo come Sol Gabetta. Qui davvero ogni parola suona vuota, di fronte a una sensibilità musicale che diresti sorgiva, ad un tempo emozionante e rigorosa. Gabetta esalta il pezzo di Lalo (pregevole ma non entusiasmante, a dire il vero) non già con fuochi d’artificio virtuosistici pur possibili, ma con una musicalità che le fa variare con singolare proprietà, ad esempio, lo scarto agogico tra l’Andantino con moto e l’Allegro presto dell’Intermezzo; oppure, che le fa cesellare la perorazione ultra-patetica che apre l’ultimo movimento, nel quale poi esibisce l’intera gamma dei gesti espressivi possibili allo strumento, con un vibrato, anche in sesta o settima posizione, che ha del miracoloso per profondità, risonanza, intenzionalità espressiva e puro edonismo sonoro. Se si aggiunge menzione d’una cavata poderosa unita a un’attitudine al canto spiegato e al lirismo introspettivo a dir poco commoventi, si avrà appena l’ombra della definizione di un’artista come al mondo se ne contano poche.

La Gabetta e i violoncelli dell’orchestra hanno offerto come bis una trascrizione della mélodie di Fauré Après un rêve: ed è stato un incanto; Franck, al termine del concerto, la Valse triste ancora di Sibelius, e ancora con piglio narrativo spiccato, ottenuto con un tempo più spedito di quanto non si oda in genere: pur sintonizzato sull’elemento oscuro/macabro, il breve brano è stato come asciugato, e dunque reso senza alcuna ostentazione né retorica.