La parabola del figliol prodigo

 di Antonino Trotta

L’eccezionale concerto di Daniil Trifonov, per la terza volta ospite dell’Unione Musicale, infiamma il pubblico del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino.

Torino, 1 Novembre 2018 – Basta un ponte di appena due giorni, a Torino, per svuotare la città, eppure nell’accogliente auditorio del Conservatorio “Giuseppe Verdi” si fatica a individuare un solo posto libero. Sarà il nome di uno degli astri più brillanti del pianismo internazionale, sarà il programma inusuale e carico di personalità o semplicemente il magnetismo di un talento che negli anni ha avuto più occasioni per ghermire il consenso del pubblico sabaudo, ma il recital di Daniil Trifonov, secondo appuntamento del ricchissimo cartellone dell’Unione Musicale, ha l’aria dell’evento. E se l’incontenibile foga dei più giovani elettrizza l’atmosfera pregna di aspettative, è il commento di un’adorabile signora a definire il colore dell’intera serata: «Lo ricordo quand’era ragazzino, al Vittoria, suonava già come da uomo maturo!». Un evento, dunque, avvolto da un calore quasi familiare, un viaggio nei nitidi ricordi degli abbonati storici che, nell’ormai lontano 2011, applaudivano la scintillante medaglia di bronzo del Concorso Internazionale Fryderyk Chopin di Varsavia al suo debutto torinese, ancora nel contesto dell’Unione Musicale.

Esordisce proprio con la delicatezza di un affettuoso abbraccio l’Andante in fa maggiore WoO 57 di Beethoven: l’innata musicalità detta lo scorrere di un fraseggio limpido e raffinato, l’eccezionale controllo del tasto asseconda le necessità di una ricerca timbrica sempre mirata ed esigente. Trifonov ricostruisce, nell’intimità di una lettura raccolta e riflessiva, le luminescenze aurorali a cui era destinato quest’andante soffermandosi sul cesello ritmico e dinamico, sul respiro musicale ampio e pronunciato, sulla cantabilità liquida e penetrante che trasduce un’autorevolezza mai imperiosa, piuttosto gentile, vigorosa e solenne. Libero dai canoni imposti dalle stereotipate liturgie concertistiche, il pianista russo affronta senza interruzione un altro Beethoven, ironico e irrequieto nelle pagine della Sonata in mi bemolle maggiore op. 31 no.3. Trifonov osa, ma con assoluta consapevolezza e totale padronanza, della partitura e dello strumento, assicurando una prova di vertiginoso equilibrismo. Tempi scalpitanti nell’Allegro inziale, febbrili nello Scherzo, pullulante di beffardi folletti mendelssohniani presenti persino nel contingente Minuetto, prima della vorticosa tarantella (Presto con fuoco), dove spiritosi accordi staccati stemperano il carattere rievocativo della parentesi centrale. Non è la spavalderia a infiammare l’energica soluzione – in cui, per inciso, non è sacrificata l’importanza di un solo dettaglio o schema subordinato – bensì l’idea di un iridescente vitalismo, come nella Settima Sinfonia, ad animare un dettato estroso e vivace.

Trifonov trova nel Fazioli un formidabile alleato per l’antologia dei Bunte Blätter op.99. Il timbro sinuoso e sinistro – specie nel registro grave – del sontuoso made in Italy corrobora una poetica che concede all’impeto virtuosistico tregue ed esìli meditativi. Le miniature procedono compatte nell’arco di discorso unitario, quasi fosse una paradigma dello stile schumanniano: si riscopre ora il candore delle Scene Infantili, ora lo spirito ardimentoso della Kreisleriana, ora lo slancio trascendentale degli Studi Sinfonici (tutte opere, tra l’altro, già affrontate dal pianista). Esplosiva la furiosa cavalcata del Presto passionato in sol minore, magnificamente eseguito in un grande crescendo,sicuro e perentorio, appannaggio di quell’opulenza sonora tipicamente russa garantita solo da un ferreo dominio mentale e muscolare.

Ma è nella Sonata no.8 di Sergej Prokof’ev che l’interprete si palesa in tutto il suo geniale intuito. Trifonov investiga tutti i risvolti della partitura, con estrema perizia drammatica, enfatizza accenti, esaspera pause, approfondisce gli intenti percussivi del pianoforte – tratto distintivo del compositore – conservando un suono pulito e rotondo, epurato da quelle impronte metalliche così diffuse nella malintesa prassi esecutiva delle tre “sonate di guerra” e spesso di Prokof’ev in generale. Un lavoro eccelso, senza se e senza ma.

Applausi irrefrenabili, numerosissime chiamate in scena, nessun bis. Peccato. Ogni ritorno a Torino, per Trifonov, è coronato sempre da un successo strepitoso. Del resto, quella di questo figliol prodigo, è una parabola tutta crescente.