Virgilio e i due pianoforti

di Roberta Pedrotti

Per il ciclo Grandi interpreti del Bologna Festival è in scena all'auditorium Manzoni Andràs Schiff. In programma Schubert e Beethoven, affrontati su due diversi pianoforti con pari intelligenza e perizia dinamica, coloristica, virtuosistica ed espressiva. Al termine, oltre mezz'ora di bis scatena un'ovazione.

BOLOGNA, 6 maggio 2014 - Due pianoforti, un Bösendorfer per Schubert e uno Steinway per Beethoven, e oltre trenta minuti di bis.

Andras Schiff si presenta senza risparmiarsi al pubblico bolognese, è decisamente ispirato e gioca anche con l'ironia passando da uno strumento all'altro (soprattutto quando si tratta dei fuori programma, per i quali non c'è tempo di convocare il personale di palcoscenico per una danza di pianoforti). Può permetterselo, tanto è sofisticato il suo gioco e tanto garbato il suo gesto.

Proprio con questo garbo ci pungola e ci provoca. Due pianoforti spingono inevitabilmente a non abbandonarsi passivamente al suono, ma a tendere l'orecchio per cogliere le differenze, là dove sia il tocco del pianista o la peculiarità dello strumento a creare il timbro, a plasmare la lettura.

Schiff non impartisce una lezione, ma ispira la riflessione sulla musica, l'interpretazione, l'unicità di ogni strumento, che lungi dall'essere oggetto inerte e indifferente ha una propria voce inconfondibile, il marchio dell'artigianato, una sorta di soffio vitale. Ci porta a osservare come un unico pianista possa leggere autori diversi con strumenti diversi, cercare una tinta specifica per ciascuno, entrare in rapporto dialettico con la partitura e con la meccanica che le darà vita senza perdere la sua personalità, ma pure mostrando diversi aspetti e sviluppi della sua interpretazione.

Schubert (1797-1828, morto quindi proprio mentre la Bösendorfer veniva fondata) e Beethoven (1770-1827) appartengono a due differenti generazioni, ma, scomparsi a distanza di pochi mesi, i brani proposti nel programma ufficiale sono separati in realtà da una manciata di anni: 1828 per la Sonata n. 20 in la maggiore D 959 di Schubert, 1823 per le 33 Variazioni su un valzer di Diabelli di Beethoven. Schiff si approccia a entrambe con il rigore dello stilista, del fine studioso di prassi esecutiva, con una chiarezza di gesto e fluidità di fraseggio sempre elegantissime, con virtuosismo prezioso e perlaceo, pedale dosato alla perfezione e uno spettro dinamico e coloristico ricco e sfumato pur senza ricercare un'ampiezza tardoromantica fuori luogo. Schiff è filologo, ma non lo è nel senso archeologico del termine, né ambisce a trasportarci nel mondo pianistico degli anni venti del diciannovesimo secolo. È chiaro che conosca a fondo le peculiarità di quella scrittura, e quindi anche il suo contesto tecnico e stilistico, ma preferisce riviverlo, trasfigurarlo in una visione idealizzata del trasecolorare dal Classicismo al Romanticismo, dal secolo dei Lumi a quello delle Passioni, attraverso le nostalgie e gli afflati sentimentali che accompagnano lo spirito dell'età napoleonica e lentamente sfumano verso l'Ottocento delle borghesie nazionali.

Ancor più chiaro e intrigante è il gioco alle prese con le Variazioni Diabelli, ulteriore conferma della vertigine semantica e strutturale che le forme di rielaborazione (variazioni, trascrizioni, reminiscenze...) possono risvegliare e spingere a esplorare. Trentatré variazioni precedute dal tema iniziale, esattamente come i trentatré canti dell'effettivo viaggio infernale sono introdotti da quello della “selva oscura” nella prima cantica della Commedia dantesca. Non si tratta, certo, di un descensus ad inferos, ma il parallelo strutturale suggerisce bene l'idea di una catabasi, se non alle fauci di Lucifero, almeno al cuore di quella piccola cellula di valzer, esplorata attraverso i più diversi registri, cerchi e gironi, fra spiriti comici, elegiaci, grotteschi e tragici, trasmutandosi perfino nell'insofferenza di Leporello al padrone. Una metafora perfetta del percorso attraverso Schubert e Beethoven fra due pianoforti propostoci da Schiff, affettuoso Virgilio.

Dopo Schubert e Beethoven il cerchio si chiude in un chiasmo, con Beethoven e Schubert. I venticinque minuti della sonata n. 23 Appassionata sembrano un lusso inimmaginabile per un bis, ma Schiff non si ferma, chiude il Bösendorfer illudendoci che tutto sia finito e, invece, scivola sullo Steinway, passato in seconda fila, e riprende con Schubert, e ancora, e ancora... Il pubblico scatta in piedi in un'ovazione grata e sincera, e per una generosità che ha superato le più rosee aspettative, e per la bellezza e l'intelligenza di un'interpretazione affabile quanto arguta e stimolante.