La magia del Flauto

 di Giuseppe Guggino

È l’inaugurazione più riuscita delle ultime stagioni al Bellini di Catania questa del 2019 che, con un cast composto per la maggior parte da giovani emergenti, riesce a restituire alla Zauberflöte tutta la magia che le è propria. Rassicuranti senza particolari guizzi le letture di Gianluigi Gelmetti e Pier Luigi Pizzi.

Catania, 20 gennaio 2019 - Era da tempo che non capitava di assistere al Teatro Bellini di Catania aduno spettacolo in cui tutte le componenti risultassero parimenti convincenti senza prevalere l’una sull’altra; e finalmente questa Zauberflöte di inaugurazione stagione sembra invece riuscirvi, anche tornando a riempire una sala con troppi allarmanti vuoti in occasione delle più recenti prime.

Il segno della serata si intuisce sin dai primi accordi dell’Ouverture: suono preciso, rassicurante, pur senza la ricerca di un fraseggio particolarmente aggiornato, la direzione rassicurante impressa al racconto musicale da Gianlugi Gelmetti risulta sin da subito più che convincente, forte anche di una compagine orchestrale al meglio delle proprie possibilità. Parallelamente procede la mano di Pier Luigi Pizzi che, nel consueto gioco estetico fatto di simmetrie, forse con meno opulenza dell’usato, dipana una narrazione tradizionale venata da qualche secondaria strizzata d’occhio nouvelle vague attualizzante. Non basta, infatti, abbigliare in tuta i tre genietti o consegnare l’effigie di Pamina a Tamino sotto forma di smarphone omaggio a reinventare la drammaturgia del singspiel mozartiano; quel che importa è che l’esperienza ultraquarantennale del grande maestro della scena operistica, pur con pochissimi mezzi (un piano molto inclinato, dei pannelli scorrevoli a ricreare la sala di lettura di una grande biblioteca e un tempio della saggezza forse perfettibile nel disegno) riesce a disegnare con indiscutibile eleganza un mondo suggestivo, popolato da efebiche creature e antropomorfi figuri che, complice l’uso di una tavolozza cromatica limitata, quasi schematica, del racconto sa mettersi a completo servizio.

E un Flauto antibarocco, costruito più per sottrazione, non può che essere cornice migliore per una compagnia anagraficamente giovanissima per la quasi totalità dei solisti. Sia il Tamino di Giovanni Sala sia la Pamina di Elena Galitskaya affrontano con successo i rispettivi percorsi iniziatici ricorrendo sempre ad vocalità ben educate e timbricamente assai piacevoli, così come calibratissima ed esente da difetti risulta Eleonora Bellocci nel banco di prova delle due arie della Königin der Nacht. Se poi Karl Huml difetta lievemente per autorevolezza nei panni del gran sacerdote (massone in questa versione) Sarastro, compensando però con esattezza e precisione di dettato, il Monostatos di Andrea Giovannini si segnala per l'agilità coniugata alla sonorità eil diversamente giovane Andrea Concetti disegna un ben calibrato Papageno a cui non può che toccare una compagna altrettanto deliziosa, quanto la Papagena di Sofia Folli.

Notevoli le tre dame affidate a Pilar Tejero, Katarzyna Medlarska e Veta Pilipenko e autorevolissimo Oliver Pürckhauer quale Oratore e secondo armigero/sacerdote, accompagnato da un primo – quello di Riccardo Palazzo – di perfettibile quadratura d’insieme.

Nei finali d’atto anche la pregevole prova del Coro preparato da Luigi Petrozziello a suggellare una di quelle serate alle quali si vorrebbe assistere un po’ meno di rado.