Flórez, Des Grieux in scena
di Francesco Lora
Un allestimento ordinario della Manon di Massenet torna con mille onori alla Staatsoper di Vienna: accanto al divo Flórez che debutta in costume nell’opera – prova di livello, ma il tardo Ottocento francese non è forse la prospettiva a lui più confacente – si impongono per mezzi e stile la Machaidze ed Eröd.
VIENNA, 5 giugno 2019 – Alla Staatsoper di Vienna sono frequenti i cicli di recite che tengono un piede nella routine di tutti i giorni e l’altro nell’evento da non perdere. Esemplare è l’ultima ripresa della Manon di Massenet, con le sue quattro rappresentazioni dal 1° al 13 giugno. L’allestimento scenico è quello varato nel 2007, con regìa di Andrei Serban e scene e costumi di Peter Pabst: azione trasposta agli ultimi anni dell’Ottocento, 45 recite distribuite da allora fino al 2016, lettura teatrale fatta però per esporre senza turbare. Due stagioni prima, gli stessi regista e bozzettista-figurinista avevano dato al medesimo teatro un Werther – anch’esso tuttora in auge – con più incisivo carattere drammaturgico e scenografico: questa Manon concepita al traino ne sembra la sorellina graziosa sì, ma anche meno ambiziosa nelle intenzioni e più maneggevole nelle strutture.
Succede però che lo scorso aprile Juan Diego Flórez abbia esordito in questo opéra-comique, cantandolo al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi in sola forma di concerto, e che abbia accordato il seguente debutto scenico, qui in oggetto, proprio alla Staatsoper. Ecco allora l’allestimento di seconda qualità rispolverato con mille onori, ecco l’introvabilità dei biglietti e le carovane di melomani in pellegrinaggio, ecco lo Chevalier Des Grieux secondo il più famoso dei tenori belcantisti. La parte gli sta né larga né stretta, e denota la ricerca di un nuovo repertorio senza garanzia d’averlo trovato: voce squillante ma non altrettanto sonora, affabili e ardenti modi itali-iberici in luogo di ispirati lirismi alla francese, insomma un cantante sommo ma poco assecondato dalla partitura nelle sue più estroverse specialità, e un personaggio che risulta più simpatico che struggente.
Le prime attenzioni passano così su Nino Machaidze: una protagonista dalla voce timbrata, smaltata, fresca e risonante, dalla presenza avvenente e disinvolta, e dal porgere tenero o malizioso senza rischio di leziosaggine. Un ancor più sorprendente possesso del linguaggio idiomatico dell’opéra-comique si ammira nel Lescaut di Adrian Eröd, attore sottile, lieve e pungente, e cantante astuto quando maschera dietro aerei sussurri insinuanti la non più intatta linea baritonale. Michael Laurenz e Clemens Unterreiner, come Morfontaine e Brétigny, danno il meglio di sé quando lo imitano; Ileana Tonca, Svetlina Stoyanova e Zoryana Kushpler incarnano con brio le tre comédiennes, mentre Dan Paul Dumitrescu porta con autorevole sornioneria i panni del conte padre. Sferzante la direzione di Frédéric Chaslin, alla cui imprevedibilità agogica orchestra e coro puntano attenti gli occhi.
foto © Wiener Staatsoper GmbH / Michael Pöhn