In quest'occhi è l'elisir
A ogni recita, anche di spettacoli collaudati come questo Elisir d'amore, l'arte di Otto Schenk rivela dettagli freschi come fosse la prima volta. Nel cast torna a imporsi l'Adina di Andrea Carroll, chiamata a coinvolgere un Saimir Pirgu interpretativamente un po' distratto.
VIENNA. 17 giugno 2019 - Per la duecentoquarantanovesima volta, alla Wiener Staatsoper, si rappresentava l'intramontabile allestimento di L'elisir d'amore, firmato da Otto Schenk. Ancora una volta, tuttavia, non ci si è potuti esimere dall'apprezzare la fantasia, la cura, l'originalità e l'estro della produzione del regista viennese. Parafrasando le parole di Nemorino, potremmo dire che più la si vede e più piace, anche se nel moderno mondo asservito al culto dell'immagine e della superficilità dei media si rischia di perdere la maggior peculiarità della messa in scena, che è la straordinaria teatralità.
Come in tutti gli spettacoli di Otto Schenk sono i dettagli, ma, sebbene l'immagine complessiva possa essere quella d'un dipinto, l'animo autenticamente viennese del geniale regista si concentra su dettagli mai banali, giochi di colori e un'analisi della drammaturgia per niente superficiale.
Tanti nuovi, piccoli particolari che si notano ogni qual volta si riveda questo spettacolo, che abbiamo diffusamente descritto in occasione delle recite di marzo [Leggi la recensione], quasi fosse una produzione alla quale mai si aveva avuto ancora ventura di assistere. Otto Schenk non stanca mai, questo è certo.
Il cast vocale vedeva come migliore artista della serata, ancora una volta, la Adina di Andrea Carroll. Il soprano statunitense è dotato di bella voce, tecnica affinata e incontenibile verve scenica. Oltre a questo ella si dimostra, nuovamente, artista completa, capace di adattarsi alle diverse situazioni e a compensare eventuali mancanze interpretative da parte di altri elementi del cast. Nel caso specifico la mancanza viene dal Nemorino di Saimir Pirgu, che appare quasi svogliato in una prova assai altalenante e discontinua. La voce e lo squillo sono senz'altro pregevoli, ma troppo spesso il tenore albanese ha la tendenza a scendere nel parlato e in una recitazione superficiale. Specialmente nel confronto con Adina, e in particolare nel duetto “Chiedi all'aura lusinghiera”, sembra totalmente privo di qualsiasi sentimento amoroso nei confronti della fittavola, tanto che, e in questo la Carroll è stata assai efficace, è lei a doverlo provocare di continuo e a lanciare una serie di schermaglie, quasi il corteggiamento, palese, sia di Adina e non dell'indifferente Nemorino. Così la coppia funziona, ma solo per merito del soprano.
Il dottor Dulcamara era interpretato un veterano del ruolo qui alla Wiener Staatsoper, il baritono triestino Paolo Rumetz, il quale sceglie la via della musicalità, evitando soluzioni di comodo o gigionerie assai diffuse. Scenicamente la sua interpretazione è vivace e si inquadra nella classica tradizione del personaggio.
Bene anche il Belcore di Samuel Hasselhorn, che fraseggia con discreto gusto e si palesa musicista preparato, pur non palesando particolari doti di personalità vocale e scenica.
Completava il cast la Giannetta di Mariam Battistelli.
Dal podio Guillermo Garcìa Calvo cura bene gli equilibri fra buca e palcoscenico. Non perde contatto con i cantanti nemmeno quando l'agogica, specialmente nei numeri d'assieme, risulta assai accelerata, ma ben seguita da interpreti dalla solida preparazione musicale.
Bene il coro, specialmente nella componente femminile, diretto da Martin Schebesta. Straordinaria la prova attoriale della compagine viennese, mattatrice del palcoscenico al pari dei solisti.
Gran successo per tutti da parte di un teatro festosamente gremito.
foto Wiener Staatsoper / Michael Pöhn