Virtuosismo di crudeltà

 di Sergio Albertini Mancuso

Quartett di Francesconi torna a trionfare alla Scala, dove debuttò nel 2011: un romanzo francese rielaborato da un tedesco, messo in musica da un italiano in lingua inglese sono forse la prova più evidente della globalità della cultura musicale contemporanea.

Milano, 11 ottobre 2019 - Dal 2 ottobre al 25 novembre Milano Musica e il Teatro alla Scala hanno dedicato il 28° Festival Milano Musica a Luca Francesconi sotto il titolo Velocità del tempo. Una lunga serie di appuntamenti, dislocati in dodici spazi diversi (dall’Auditorium di Milano al San Fedele, dalla Basilica di San Celso al Civico Planetario, dal Pirelli Hangar Bicocca alla Santeria Toscana) ha proposto concerti sinfonici, da camera e musica elettronica di questo compositore che, allievo di Corghi, Stockhausen e Berio, considera suoi maestri d’elezione anche Miles Davis e Jimi Hendrix, che pone al pari di Stravinskij e dei suoi maestri come “la vera musica classica degli ultimi cinquant’anni”. Francesconi, che appartiene alla generazione nata tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, eredita l’esperienza – oramai storicizzata - delle avanguardie; e se da una parte l’eredità di Nono e Boulez è studiata e introiettata, dall’altra respirano i suoni del rock e del pop, di Sting e di Zappa, di Hendrix e dei Doors. Una inquietudine radicale che vede Francesconi sicuramente in prima linea.

In ambito vocale, Francesconi aveva già composto nel 2004 un’opera intitolata Gesualdo considered as a Murder. Nel 2011 il Teatro alla Scala gli commissiona, in collaborazione con il Wiener Festwochen, una nuova opera: Quartett. E vale ricordare che in questi otto anni l’opera è entrata in repertorio, cosa assolutamente non frequente per melodrammi contemporanei. L’allestimento scaligero, che è quello riproposto in questa stagione, è stato ripreso a Vienna, Amsterdam, Lille, Lisbona, Buenos Aires e Barcellona. Ma già nel 2012 l’Ensemble Intercontemporain ha eseguito Quartett alla Cité de la Musique di Parigi in una versione semiscenica curata dallo stesso Francesconi; un nuovo allestimento (regia, scene e costumi di Nuno Carinhas) è stato rappresentato a Porto e al Festival Musica di Strasburgo. Nuovo allestimento (di John Fulljames) a Londra nel 2014, ripreso nel 2017 a Rouen, al Teatro Stabile di Trento, allo Spoleto Festival di Charleston. Nuovo allestimento nel 2015 all’Opera di Malmö, e nuovo allestimento nel 2018 a San Francisco. In questo 2019 l’opera ha debuttato in Germania, a Dortmund, con un nuovo allestimento; e, ad apertura di stagione 2020-2021 alla Staatsoper di Berlino, verrà realizzata una nuova produzione tradotta in tedesco con la direzione di Daniel Barenboim.

Quartett, che si avvale di un libretto straordinario, è l’adattamento delle Liaisons dangereuses riprese nel 1980 dal drammaturgo tedesco Heiner Müller: i protagonisti dell’opera di Francesconi sono due, che impersonano i quattro ruoli (Merteuil diventa Valmont o Cécile Volanges, Valmont diventa a sua volta Tourvel). Una lingua cruda e assieme altamente poetica (l’opera è cantata in inglese, ma nei visori delle poltrone della Scala si può seguire nell'eccellente traduzione/ricreazione di Serena Prina). Un rituale perverso, simile a quello crudele delle mantidi religiose, un continuo gioco sado-maso dove l’amore si trasforma – o forse lo è per sua natura ? – in sesso e calcolo. Come spiega in splendide note lo stesso Francesconi nel ricco programma di sala, “le schermaglie amorose, a partire dal tentativo di abolire la gelosia, diventano così un gioco virtuosistico di inganni sempre più complessi e acrobatici dove il corpo diventa cosa e le altre persone pedine. L’identità si perde in una moltiplicazione infinita di specchi dove nulla ha valore, in un delirio nichilistico e tragico”.

Per la messa in scena di questo testo, che ha per ambientazione dapprima un salone prima della Rivoluzione Francese, poi un bunker dopo la Terza Guerra mondiale. Alex Ollè, della Fura dels Baus, regista, e Alfons Flores, scenografo, hanno costruito un salotto minimale sospeso nel vuoto, come una gabbia isolata da ogni contesto, in cui, con abilità scenica (grazie a un rapido calo di tenda nera) ecco spuntare ora un tavolo tra le due poltrone, un canestro di frutta, due calici, un canapè. Uno schermo sul fondo accompagna il dipanarsi della storia con proiezioni (di grande sobrietà, non invasive, ma di straordinaria efficacia) che illustrano per evocazioni una rivoluzione, il crollo di un muro, ma soprattutto i fantasmi e le inquietudini dei personaggi. Se non si può parlare di ‘azione’ nel senso stretto del termine, in realtà l’intrigo si fa e si disfa nello scontro continuo e nella decostruzione di Merteuil e Valmont, di Madame de Tourvel e di Cécile Volanges, in un continuo scambio perverso di ruoli e di sesso.

Su questo tessuto connettivo di parole e crudeltà, il tappeto sonoro complesso di Francesconi rasenta e supera il virtuosismo. Due orchestre interagiscono tra loro, come i due personaggi in scena (altra forma di quartetto): una ventina di strumentisti in buca, un’orchestra sinfonica e un coro registrati. Nessuna invadenza ‘elettronica’: mai suono registrato è apparso così naturale, così spontaneo e giusto, così fluido e legato alle voci. I due cantanti sono sottoposti a un vero tour de force, il baritono è spinto sino a un falsetto estremo, la voce femminile, ibrida, affonda nel registo più grave come negli acuti più perigliosi, senza che la scrittura di Francesconi la forzi verso il grido. Difficile tuttavia cogliere appieno la potenza di questa scrittura, che fa ricorso a una microfonazione indispensabile.

Elogi entusiastici per Allison Cook e Robin Adams: cantanti che articolano lo splendido testo in maniera esemplare, attori capaci di una prestazione altissima in uno spazio ridotto, tra slanci e sodomia, rabbia e abbandono (la distruzione finale, con il crollo delle librerie che appaiono dietro i panni neri strappati, e i lanci dei volumi sul palcoscenico sono un finale che resta a lungo nella memoria).

Le luci gelide e taglienti di Marco Filibeck, i video di Franc Aleu, la regia (ripresa in questo caso da Patrizia Frini), gli interventi corali curati da Bruno Casoni, la direzione di Maxime Pascal, ma soprattutto la straordinaria prova dell’Orchestra del Teatro alla Scala hanno infiammato la sala. Il successo è stato pieno, potente, e molte le chiamate in scena.

Un romanzo francese rielaborato da un tedesco, messo in musica da un italiano in lingua inglese sono forse la prova più evidente della globalità della cultura musicale contemporanea.

Lunga vita a Quartett.