Amicizie musicali

 di  Stefano Ceccarelli

Il maestro Antonio Pappano torna sul podio dell’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, con un programma tutto incentrato su un’amicizia (non solo) musicale, quella fra Arnold Schönberg e George Gershwin: del primo, si esegue la Verklärte Nacht op. 4 (nella versione per orchestra d’archi), del secondo la Rhapsody in Blue (al pianoforte l’eclettico Conrad Tao)e il poema sinfonico An American in Paris. La serata è un successo

ROMA, 2 febbraio 2019 –Dopo lo splendido concerto della scorsa settimana, il maestro Antonio Pappano torna ancora a dirigere l’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in un programma tutto incentrato sul ‘900. Schönberg e Gershwin, ambedue di origine ebraica, condividevano una sincera stima reciproca sul piano musicale, che si traduceva anche in qualche partita a tennis. Venivano da due mondi totalmente opposti: Gershwin era istrionico, brillante, una stella del palcoscenico americano; Schönberg, invece, era un rifugiato, fuggito dall’orrore della Shoah, un colto compositore che affondava le sue radici nel Tardoromanticismo e che aveva apportato, con la dodecafonia, una seria innovazione alla musica occidentale.

Ascoltare in un’unica serata musiche tanto diverse, di persone che, pure, si sono così tanto stimate, non può che affascinare. Il primo tempo è occupato dalla versione per orchestra della Verklärte Nacht di Arnold Schönberg, originariamente un quartetto d’archi, una sorta di poema (poi sinfonico) basato sulle suggestioni di lettura dell’omonima poesia di Dehmel. Il poeta narra un incontro fra due amanti, immersi in un notturno: una donna svela al suo innamorato di essere incinta del dispregiato marito, ove l’uomo, accettando l’avvenimento, ‘trasfigura’ la realtà considerando il nascituro come suo stesso figlio. Schönberg, con questo pezzo, crea un erotico velo melodico, trapunto di ogni dolcezza tipicamente tardoromantica, sul chiaro modello del Tristan und Isolde wagneriano; il tutto è dipanato in una serie di movimenti in cui rende vive le strofe di Dehmel e, dunque, i moti del cuore dei due innamorati. Pappano legge l’intero pezzo con maestria sublime (del resto è questo, forse, il suo repertorio d’elezione): l’orchestra, composta dai soli archi, palpita nei movimenti amorosi, cresce, si ‘gonfia’, e decresce con incredibile arte, legge e traduce in suono ogni sfumatura di una complessa serie di sonorità trapunte di vaghezze indefinite, cui Pappano dona un colore incredibile. Il risultano è un’esecuzione memorabile, a tratti commovente: uno Schönberg wagneriano e brahmsiano, che tiene le intuizioni dodecafoniche debitamente a distanza, vagamente intraviste sotto la patina tonale che sorregge l’intero pezzo, un capolavoro assoluto, ovviamente incompreso dai contemporanei, che pure vi scorsero l’evidente influsso wagneriano. La lettura di Pappano è ovunque attenta e sorvegliata, riuscendo a trovare la tinta perfetta: incredibili, in particolare, gli effetti soffusi degli archi, come pure la capacità di mescolare i timbri precipui delle diverse compagini. Gli applausi sono meritatamente accolti dagli esecutori.

Nel secondo tempo, Conrad Tao fa il suo ingresso in sala. Attento al look, ben elegante, Tao è pianista, seppur giovane, già largamente affermato; assieme a Pappano dà vita all’esecuzione del capolavoro di Gershwin, la Rhapsody in blue. Sebbene questo repertorio sia, forse, meno nelle corde di Pappano del precedente, la Rhapsody scintilla in tutto il suo glamour, fin dal celeberrimo attacco del clarinetto in glissando, dove Alessandro Carbonare dà prova di magnifica arte. Tao, nella parte pianistica, si armonizza perfettamente con l’orchestra, in ottima sintonia con Pappano, e accentua soprattutto i caratteri swingati e ragtime del pezzo, palesando di sentire molto il ritmo gershwiniano, che cavalca con brio e virtuosismo. In particolare, Tao ha un innato senso del controllo del volume sonoro dei tasti: riesce, quindi, a creare delle atmosfere fantastiche. Un altro suo dono, certamente, è il virtuosismo, che cavalca sempre con un’impressionante sensibilità al dato sonoro: la Rhapsody gli offre diverse occasioni, più di una ‘cadenza’, per ribadire, variare, infiorettare il celebre tema del pezzo. Nei passaggi più muscolari, però, dove il pianoforte deve emergere sull’orchestra, Tao risulta un po’ più diafano, mancandogli un po’ di ‘muscolarità’ sonora. Dopo gli applausi, tributati all’eccellente performance anche di Pappano (che gestisce stupendamente tempi, agogica, rallentamenti, in una trama di insidiosi poliritmi) e dell’orchestra tutta, Tao regala un movimento di una sonata violinistica di Bach trascritto per pianoforte. Pappano continua, poi, con una scintillante esecuzione di An American in Paris: nel primo tempo cavalca i capricci orchestrali, con il tema principale che sfavilla; nel movimento centrale, coglie tutta la delicata malinconia, giocando con i colori orchestrali, con la studiata trama timbrica del pezzo; infine, nel terzo, porta l’orchestra a un notevole volume, chiudendo in bellezza, fra scrosci di applausi, un’ottima serata di musica.

© Foto: Musacchio, Ianniello & Pasqualini