L’opportunità mancata

 di Antonino Trotta

È l’Elias, questa volta, l’altare su cui si consacra l’altissima qualità del Coro e dell’Orchestra del Regio di Torino: guidati dalla bacchetta sacrale da Roland Böer, l’oratorio di Mendelssohn firma una serata memorabile nel teatro sabaudo.

Torino, 18 Aprile 2018 – L’Elias era da tempo un traguardo, assolutamente ragguardevole, prefissatosi dal Regio: fu un’occasione mancata nella scorsa stagione concertistica (affidato allora alla direzione di Pinchas Steinberg) quando il monumentale oratorio di Mendelssohn fu rimpiazzato, all’ultimo momento, frugando nel repertorio da esposizione del Teatro (i Quattro Pezzi Sacri di Verdi e la Settima di Beethoven, in una serata dimenticabile, concertati del giovane Alessandro Cadario). A distanza di un anno, però, quell’agognata meta, capriccio di una direzione artistica che – almeno secondo l’opinione di chi scrive – ha offerto una rosa di sensazioni più nutrita dalla stagione sinfonica che da quella operistica, è stata finalmente raggiunta, e con esiti sbalorditivi. In fondo grazie all’eccellenza del Coro e dell’Orchestra il Regio, oggi come oggi, difende a denti stretti il prestigio della fondazione e anche laddove uno spettacolo si sia dimostrato poco appetibile, buca e palcoscenico hanno sempre conservato l’appeal dell’alta istituzione. Dunque con i lavori che esaltano prima di tutto le qualità dei complessi strumentali e vocali, come il genere oratoriale tende a fare, il risultato, prevedibilmente, è di indiscutibile valore.

Certo sul podio, anzi, dal pulpito, Roland Böer predica e razzola benissimo: ecco dipanarsi subito, nell’ouverture incastonata tra la profezia di Elia e il lamento del popolo, toni ieratici, colori apocalittici e un incedere profetico che nelle sonorità scabre e ruvide dell’orchestra inspessisce la severità della parola di Dio. E qui, dove il dialogo procede in prima persona – senza l’adozione di un narratore esterno come nel precedente Paulus o, ad esempio, nelle Passioni di Bach –, la costruzione prepotente dell’accento orchestrale esaspera l’intenzione drammatica, viepiù quando i tempi si allargano per enfatizzare l’ingresso dell’ondata corale. Si erge maestoso, questo Elias, al cospetto della divinità adontata – o chi per esso –, ma non ridimensiona la sua statura quando si scioglie soave nelle pagine di pura contemplazione, così le ferite si fanno feritoie e squarci di luce abbagliante inondano la platea, con orchestra e coro in grado di vellutare e alleggerire il suono. Böer interpreta con grande teatralità e di questa grande teatralità brillano i colpi di scena, come quello, händeliano, della pioggia.

Assolutamente all’altezza della serata i protagonisti. Il baritono Adrian Eröd sfoggia una voce granitica e omogenea, fraseggia con impeto tribunizio e destreggia bene il mezzo nei passaggi di furente coloratura («Ist nicht des Herrn Wort wie ein Feuer») nonostante qualche vistoso inciampo negli ardimentosi involi all’acuto. Poche postille per l’ottima prova di Carlo Allemano, tenore dal timbro baritonaleggiante e dall’accento scultoreo: un po’ sopra le righe, soprattutto all’inizio, ma la sua lettura, non priva di encomiabili sfumature, è vissuta con convinzione. E convince. Ben amalgamate perché simili per spessore e colore il soprano Celine Byrne e il contralto Marina Comparato. La prima, detentrice di alcune tra le parentesi più liriche dell’oratorio, al netto di alcuni suoni fissi nel registro acuto, canta con gusto per la misura e delicata espressività. La seconda, invece, è in possesso di una pasta vocale assai seducente e scolpisce con estrema incisività ciascun ruolo. Valido il contributo degli artisti del coro: Il soprano Maria de Lourdes Rodrigues Martins, il contralto Roberta Garelli, il tenore Matteo Pavlica, il basso Enrico Bava e Valentina Escobar, già apprezzata voce bianca del Regio.

A elogiare il Coro del Teatro Regio di Torino, istruito dal maestro Andrea Secchi, si incorrerebbe inevitabilmente nel pleonasmo: la possanza e la compattezza delle sezioni consente di articolare al meglio gli intrecci della polifonia palestriniana, la cura della pronuncia e la malleabilità del ventaglio dinamico balza all’orecchio nelle icastiche sillabazioni. Una serata memorabile, tout court, che tuttavia lascia il sentore di amaro in bocca: poca, pochissima affluenza in platea. Alberto Ponti, nella recensione del concerto di Conlon che in contemporanea aveva luogo in Rai, registra lo stesso fenomeno [leggi la recensione]. Che i torinesi abbiano anticipato, e di un bel po’, le vacanze pasquali? Non ci sarebbe, né si comprenderebbe, motivazione altrimenti plausibili per mancare, purtroppo per loro, una simile opportunità.