To be a Primadonna

di Roberta Pedrotti

Angela Meade debutta al Rossini Opera Festival con un trionfo della voce al servizio del Belcanto.

PESARO, 17 agosto 2019 - Vien da pensare che chi sostiene non esistano più le grandi voci farebbe assai bene a uscire dal proprio guscio e ascoltare un po' di vere voci in teatro. Rimarrebbe sorpreso; positivamente, s'intende. Un esempio lampante è quello offerto da Angela Meade, cui i mezzi non mancano affatto, e li esibisce generosa senza risparmiarsi, tanto da aprire impavida il suo recital d'esordio a Pesaro nientemeno che con "Casta diva". Seguono poi arie da camera di Bellini ("Vaga luna che inargenti", "Ma rendi pur contento") e, soprattutto, di Mayerbeer (Le voeu pendant l’orageLa fille de l’airMa barque légère Sicilienne), scelta, quest'ultima, di notevole interesse, sia per la rarità dei pezzi, sia per la loro complessità armonica, melodica e strutturale. 

Sentiamo subito una grande voce, naturalmente ampia, compatta, duttile, giusto con un pizzico di vibrato che va smussandosi via via che il programma avanza. Soprattutto, però, man mano che il programma avanza sentiamo che oltre alla voce c'è altro. La chiave di volta è Meyerbeer, ma il Meyerbeer operistico, quello di Robert le diable e della sublime Cavatine del quarto atto che avevamo sentito tante volte anche in concerto, anche in splendide interpretazioni, ma da voci ben più leggere (a Pesaro, Patrizia Ciofi e Lisette Oropesa). Ecco che ora l'invocazione di Isabelle si esprime con un'ampiezza diversa, per certi versi inedita, ma anche di un dosaggio dinamico inappuntabile, con pianissimi sicuri, sottili e penetranti, con il crescendo emotivo perfettamente calibrato, a ricordarci che stile e tecnica possono contare più del peso specifico della voce nell'aderire a un repertorio. 

E, infatti, il passo che il concerto prende da "Robert, Robert, toi que j'aime" è sempre più deciso e significativo: è l'affermazione della voce, il suo trionfo, ma nella sublimazione estetica del Belcanto che si riverbera nella melodia di epoche diverse. Eccola nel celebre Lied di Marietta da Die tote Stadt di Korngold, guardacaso collocato nella finzione scenica proprio durante le prove del capolavoro di Meyerbeer, eccola con quattro Lieder di Richard Strauss (Ständchen, Allerseelen, Befreit e Zueignung), a dipanare il fascino puro del canto che si fa belcanto in senso assoluto e che può guardare a "Casta diva" come a un modello ideale di melos di per sé espressivo nella sua pura bellezza. 

In tal senso, i bis sembrano il compimento ideale di un percorso: La Wally di Catalani, con "Ebben, ne andrò lontana", e Adriana Lecouvreur  di Cilea, con "Io son l'umile ancella", ripropongono un'idea melodica esaltata nell'emissione morbida e legata più che nell'impeto ardente. Sono pagine per voci ampie, ma educate al Belcanto. E se per un verso ad Angela Meade possono calzare come un guanto, dall'altro fanno notare la saggezza con cui la grande voce si consacra al primo Ottocento e non abbandona Rossini, Bellini e Donizetti per altri lidi. Certo, gli armonici le permetterebbero di spingersi oltre, specie in un'epoca in cui la tendenza sembra spesso quella di alleggerire il repertorio più pesante, ma la scrittura cambia e si sente: le note gravi che nel primo Ottocento non sembrano crearle problemi, nella musica di qualche decennio dopo richiedono un tipo di espansione che non sembra, al momento, esprimere il meglio delle sue qualità. La resa delle due arie è, intendiamoci, eccellente, ché tale è la voce e l'impostazione, ma ci ricorda ancora una volta come uno strumento importante possa star meglio di casa nei dintorni del Belcanto, affinando strumenti che rendano ancor più preziose le incursioni occasionali in altri campi. In concerto si crea, così, un arco di continuità, ma si marcano anche le distanze.

Voce, voce e ancora voce, sempre più a fuoco nel suo regno d'armonici rigogliosi legati, rinforzati, filati. Ma Angela Meade, in attesa di dimostrarci tutto il suo temperamento drammatico nel Gala del 21 agosto (quando interpreterà la Gran Scena di Ermione) ci saluta oggi ricordandoci anche di essere un'artista simpatica e spiritosa, ché la voce non basta per essere una vera primadonna, ci vuole quel qualcosa in più che, con tanta autoironia, ci racconta in I want to be a Primadonna da The Enchantress di Victor Herbert

Al piano, Giulio Zappa merita una menzione speciale sono solo per l'ottimo accompagnamento al canto, ma anche per l'apprezzatissimo intermezzo con Arabeske di Schumann, un pezzo che, fra il Romanticismo di Meyerbeer e l'eco tardoromantica di Strauss e Korngold, assume un fascino ancor più accentuato ed emblematico.

Pubblico numeroso e festante, applausi meritatamente ardenti, anche per un pomeriggio di mezz'agosto. Angela Meade, che ha già in repertorio Armida Semiramide ed Ermione, sembra candidarsi a pieno diritto a entrare nel novero delle beniamine dei fedelissimi del Rof.

foto Amati Bacciardi