Coraggio nel deserto

 di Mario Tedeschi Turco

La Missa pro defunctis di Domenico Cimarosa apre la stagione autunnale del Filarmonico di Verona con la direzione ben calibrata di Alessandro Cadario e un quartetto vocale in cui spiccano le voci femminili di Eleonora Bellocci e Lorrie Garcia

VERONA, 11 ottobre 2019 - Gioiello della musica sacra settecentesca, ben conosciuto dai cultori della musica degli antichi Stati italiani, specie napoletana, la Missa pro defunctis che ha aperto la stagione concertistica autunnale della Fondazione Arena al Filarmonico è opera di raro ascolto, dal vivo. Operazione di coraggio, dunque, quella della direzione artistica veronese, proporne un’esecuzione che assai probabilmente è una prima assoluta per la città.

I complessi veronesi si sono presentati ovviamente in formazione ridotta, giusta la scrittura cimarosiana (che nel manoscritto olografo conservato a San Pietro a Majella specifica, nel frontespizio, «a 4 voci, con violini, corni da caccia obbligati, e basso», segnando in partitura poi altresì violetta e organo), sciogliendo la notazione del basso con sobrietà del tutto aliena da turgori romantici fuori stile. Il direttore Alessandro Cadario ha trovato da subito il giusto tactus da imporre all’interpretazione, leggendo con apprezzabile precisione il gesto elegiaco dell’impianto retorico compositivo, così che ne è sortita un’elegante narrazione rituale, giustamente priva di concessioni al vocalismo teatrale, tratto deliberatamente scelto da Cimarosa per la composizione. La quale – salvo forse il Iuste Judex e il Preces meae, principiato dal tenore su un Mi bemolle di armatura il quale, contesto poi di interventi vari di strumenti e solisti, ricorda certamente l’afflato drammatico dell’Opera seria – è da considerarsi uno studio severo di arte ora di dialettica modulante, ora di contrappunto (si veda il Christe eleison), ora di abbandono lirico, specie nelle sezioni affidate al soprano solo. Che era Eleonora Bellocci, affascinante voce di ampia estensione e notevole volume, appena incrinata da vibrato stretto nel registro alto, tuttavia sempre pienamente compresa nelle ampie architetture del brano; soprattutto, senza nemmeno l’ombra di eccesso belcantistico anche nelle colorature, che sono state restituite, ancora una volta, nella piena consapevolezza stilistica di quello che è pur sempre un Requiem destinato alla nobiltà di Russia nei primissimi tempi della permanenza di Cimarosa quale maestro di cappella della corte imperiale, in sostituzione di Giuseppe Sarti (1787). Bene dunque la Bellocci, e ancor meglio il mezzosoprano Lorrie Garcia, certo in una serie di interventi meno impegnativi di quelli dedicati al soprano, eppure più apprezzabili per la dizione chiara e il canto sul fiato di estrema naturalezza. Un rilievo, quest’ultimo, che vale anche per il basso Alessandro Abis, che ha introdotto il Confutatis, poi dialogato con le due voci femminili, con impressionante nitore ed esemplare controllo antiretorico. Meno a fuoco l’interpretazione del tenore Matteo Mezzaro, qua e là nasaleggiante e con qualche problema in alto. A voler trovare ancora difetti, in questa bella esecuzione, noteremo solo talune difficoltà di sincronia tra strumenti e coro, specie nelle sezioni di inizio; e ancora – ma è in vero carenza stabile dell’orchestra areniana – una certa tendenza ad appiattire le dinamiche, laddove tra mf, f e ff non si notano grandi escursioni foniche. Poco male, ad ogni modo, in questo brano specifico e per l’intenzionalità sonora desiderata.

Detto dunque di un significativo evento culturale, e della sua buona realizzazione, veniamo pur brevemente e tristemente al dettaglio di cronaca: chi scrive frequenta con regolarità il Filarmonico dal 1982 e mai (dico: mai) ha visto una sala così desolantemente vuota. Platea con circa 80 persone, palchetti deserti o quasi, e al loggione non abbiamo dato nemmeno uno sguardo, onde non intristirci ulteriormente. Si diceva all’inizio di una scelta culturalmente rilevata, da parte della Fondazione, con un brano di raro ascolto; si aggiunga che tra un paio di settimane andrà in scena per la stagione operistica il capolavoro di Cimarosa, Il matrimonio segreto, la qual cosa dona organicità e orientamento estetico al cartellone. Forse ci sono stati difetti di comunicazione da parte di chi organizza; forse la città non ha sufficiente preparazione per apprezzare un evento musicale centrato sulla musica e non sul prestigio dell’interprete, suonasse anche Papaveri e papere: fatto sta che la situazione si profila preoccupante, per la stagione extra Festival areniano, e sarà bene che la città intera, ma specie la sua amministrazione, si faccia qualche domanda riguardo la propria intensità di presenza nel gruppo delle Fondazioni lirico-sinfoniche nazionali. E nel mentre si porrà queste domande, abbia altresì la compiacenza di vergognarsi un pochettino.

foto Ennevi