Nel nome di Scarlatti

 di Luigi Raso

L'inaugurazione della stagione numero 101 dell'Associazione Scarlatti di Napoli celebra il nume tutelare con lo splendido oratorio La Giuditta, diretto da Antonio Florio.

NAPOLI, 17 ottobre 2019 - Il legame tra l’Associazione Scarlatti e la maestosa Basilica napoletana di San Paolo Maggiore è antico: qui, cento anni fa, la neonata Associazione emanò i primi vagiti musicali. A conclusione delle celebrazioni del centenario, l’inaugurazione della stagione n. 101 non poteva dunque trovare palcoscenico più familiare e indissolubilmente legato alla propria storia e, last but non least, più beneaugurante di questo.

L’apertura è proprio sotto il segno di quell’Alessandro Scarlatti nume tutelare della centenaria attività musicale (per una breve quanto incompleta storia della Associazione, leggi qui), con l’oratorio in due parti La Giuditta.

La Cappella Neapolitana, diretta dal suo fondatore Antonio Florio, opta per la versione cosiddetta di Napoli dell’oratorio scarlattiano (così detta perché a Napoli è conservata la partitura; la sua prima esecuzione fu, invece, a Roma) a cinque voci, del 1693, il cui testo è attribuito a Pietro Ottoboni, cardinale e mecenate delle arti a Roma, il quale stimava a tal punto il musicista palermitano da definirlo, nel dettare la sua lapide sepolcrale, musices instaurator maximus.

Manca la sublime aria "Dormi, o fulmine di guerra!", presente, invece, nella versione a tre voci cosiddetta di Cambridge del 1697 (come per la precedente, il nome deriva dalla città nella quale fu scoperta la partitura).

La narrazione musicale della storia biblica di Giuditta - la quale, seducendo e poi decapitando il generale assiro Oloferne, riesce a liberare la città di Betulia assediata dall’esercito di Nabucodonosor - è dipinta da Scarlatti con rara potenza drammatica, in un alternarsi di arie e di duetti, ricorrendo a raffinati accompagnamenti “obbligati” del violino, del violoncello e del flauto.

Scarlatti costruisce le arie dell’oratorio - di rara bellezza per intensità e inventiva melodica - partendo dalla purezza della voce sola accompagnata dal basso, alla quale, nel finale e in un crescendo emotivo, aggiunge tutti gli altri strumenti, così sostenendo e amplificando la melodia e, soprattutto, l’effetto drammatico e l’aderenza della musica alla parola.

Antonio Florio, alla guida della sua Cappella Neapolitana, ensemble composto da musicisti raffinati e specializzati nell’esecuzione del repertorio napoletano del ‘600 e del ‘700, dà una lettura della Giuditta - nella revisione della partitura operata da lui stesso e ossequiosa delle attuali esigenze della prassi esecutiva - rigorosa, precisa, dal ductus musicale sempre equilibrato.

La cura strumentale esalta gli accompagnamenti “obbligati” del primo violino - il bravissimo Alessandro Ciccolini - delle trombe, del violoncello, riuscendo a trovare un giusto punto d’equilibrio tra il suono dell’ensemble e l’acustica non particolarmente felice della Basilica di San Paolo, che tende a confondere  eccessivamente i suoni.

Ben affiatato e omogeneo il reparto vocale: la Giuditta di Giuseppina Perna delinea una protagonista sicura nelle agilità e determinata negli intenti, la cui voce si fonde perfettamente con la tiorba, il violoncello e con il flauto nell’aria “La tua destra, o sommo Dio”.

L’Ozia - parte scritta per un castrato - di Ester Facchini ha voce limpida e ben emessa; particolarmente intensa è la sua “Se la gioia non m’uccide” con violino obbligato, così come molto ben cantata è l’aria “Addio cara libertà”.

Aurelio Schiavoni, contraltista, è un Oloferne che domina la scrittura vocale farcita di colorature; con l’aria “Vanne pur, che in un istante” è particolarmente credibile nelle vesti del generale assiro sedotto.

Achiorre Capitano degl’Amoniti - al quale Scarlatti affida l’aria “Della Patria io torno in seno”, interpretata con abbandono estatico - ha la voce di Leopoldo Punziano.

Il Sacerdote di Giuseppe Naviglio ha voce potente e timbrata, che conferisce alla sua parte ieratica autorevolezza.

Al “Opra sol di quel Dio, che in brevi istanti/ muta in Ciel di contenti un mar di pianti”, intonato da tutte e cinque le voci al termine dell’oratorio, seguono applausi calorosi e prolungati, sorretti dalla consapevolezza di aver ascoltato una rarità musicale, che, alla luce del pregio artistico e del successo di pubblico, meriterebbe maggiore diffusione.