Otello negli occhi

di Roberta Pedrotti

G. Verdi

Otello

Antonenko, Poplavskaya, Alvarez

Riccardo Muti - direttore

Stephen Langridge - regista

Salzburg Festspiele 5-10/08/2008

DVD UNITEL 725008, 2012

Nata come opera omnia teatrale verdiana da realizzarsi e registrarsi interamente nell'ambito del Festival Verdi e dell'attività del Regio di Parma, la collana TuttoVerdi della Unitel ha dovuto necessariamente includere anche produzioni provenienti da altri siti. Con esiti diversi (come del resto per le recite parmigiane): ora mediocri o meno, a volte felicissimi, come con questo Otello salisburghese. Non si tratta di una recita memorabile in tutte le sue componenti, ma con alcuni elementi di assoluta eccellenza e soprattutto un equilibrio tecnico-artistico perfetto, che suggella il successo del DVD. La bacchetta fa la differenza anche in teatro, soprattutto se è quella di Riccardo Muti, soprattutto se stiamo parlando del Muti maturo e profondo degli ultimi anni, del Muti sereno e analitico che è riuscito a sorprenderci con un'autentica seconda giovinezza artistica, che coglie i frutti di tutte le esperienze precedenti in una sintesi d'acuta intelligenza. L'impatto è magnifico: complice una ripresa audio davvero ben fatta, la tempesta iniziale, senza inutili fragori, incarna realmente la maestà terribile dello scatenarsi degli elementi e, nel contempo, si fa simbolo e immagine della tragedia incombente, del prossimo deflagrare delle passioni. Soprattutto, Muti misura la furia, sa assottigliare il suono, sfumarlo con leggerezza nelle scintille vaporose di un fuoco di gioia, dargli il colore della tragedia e della nostalgia, dell'incanto, della tenerezza, del terrore più profondo. Sa narrare, sospendendo ora il tempo, ora rendendolo incalzante, spietato, ma non frenetico, perché Muti conosce l'arte della tensione interna alla musica, della dinamica e del colore al di là degli effetti esteriori, per cui il tempo perde la sua dimensione fisica e misurabile per trasformarsi in materia plastica modellata dal canto, dall'orchestra, dall'azione, dai gesti e dagli sguardi. Sì, perché l'altro punto di forza del Dvd è costituito da una regia video (a cura di Peter Schönhofer) che non pretende di trasformare l'opera in un film, ma, pure esce dai canoni della consueta ripresa teatrale soffermandosi volentieri su primi piani che non risultano mai compiaciuti o ripetitivi, al contrario sembrano trarre il miglior partito da una messa in scena, quella di Stephen Langridge (doppio figlio d'arte), che cura moltissimo i dettagli e sviluppa il rapporto fra i personaggi più nella mimica facciale e nell'espressione degli occhi che nello spazio. La telecamera ci fa notare, nell'ambientazione d'epoca, la varietà etnica e sociale della popolazione cipriota, l'entusiasmo schietto dei popolani per la vittoria di Otello e, per contro, lo spavento di una ragazzina aristocratica (bionda come Desdemona) di fronte a quell'uomo nero che, certo, la sua famiglia onora in pubblico ma cui in privato non avrà risparmiato parole diffidenti e taglienti. Così, prima ancora di scoprire le trame di Jago, conosciamo la solitudine del Moro, il suo disagio in una società che lo acclama vincitore, ma non l'ha mai interamente accettato.

La cura, intensa e discreta, di queste riprese, le ombre sui visi, le espressioni più minute, sempre con la musica e nella musica, sembrano concretizzare visivamente il lavoro finissimo di Muti con i cantanti, facendo dimenticare anche qualche emissione non proprio cristallina di Marina Poplavskaya, cantante eterodossa non esente da suoni intubati, eppure, con il suo viso così singolare incorniciato da lunghi capelli dorati, Desdemona convincente e indovinata per la recitazione sempre elegante e presente, per la dolcezza del porgere, per l'attenzione al disegno generale del concertatore, tale da far passare in secondo piano qualche nota meno bella. O come nel caso di Aleksandrs Antonenko, voce indubbiamente fibrosa, talora spinta, nella volontà chiara di inserirsi in una linea di tenori drammatici baritoneggianti che il più delle volte, in realtà, poco o nulla avrebbero a che spartire con la nobiltà del canto verdiano. Muti, però, lo guida e lo controlla nota per nota, sillaba per sillaba, e se l'attore non è illuminante, la misura e la puntualità, la sincerità della sua recitazione lo rendono in realtà un Otello credibilissimo, autentico, perfettamente inserito nel meccanismo impeccabile di una tragedia in cui non si distingue un mattatore unico, ma un reticolo di rapporti e di solitudini incrociate nella ragnatela già inevitabile nella natura delle cose, nella mente degli uomini e nelle forme della società. Colui che nel segno del Male e del Nulla deve coagulare queste tensioni e queste frustrazioni è Jago, ed è un fuoriclasse del calibro di Carlos Alvarez, formidabile proprio per quella sua capacità di non rubare platealmente il palcoscenico ai colleghi, ma di insinuarsi implacabilmente, di permeare l'azione (fisica e musicale) con la stessa natualezza con la quale instilla il dubbio in Otello. Il suo sguardo buca lo schermo proprio come attraversa le platee e ha buon gioco a lavorare quasi di sottrazione, sorprendendo poi, trafiggendo letteralmente con l'accento giusto, colpendo con studiata nonchalance fino a centrare il bersaglio. Ci getta nel paradosso teatrale, invero inquietante, d'esser osservatori esterni ben consci della sua natura e della sua trama e, nel contempo, coinvolti come Otello e quasi irretiti dalla sua simulata buona fede, dalla sua ponderata reticenza. Tutto questo non sarebbe possibile senza l'intelligenza e la musicalità che governano un timbro raro virile fascino in una ben calibrata gamma dinamica e cromatica, cesellando la parola come se dal segno verdiano sorgesse anche una recitazione che non ha nulla della finzione e tutto della più naturale e disarmante incarnazione del personaggio. A tratti lussoso, sempre perfettamente assortito e credibile sotto ogni punto di vista, il resto del cast, con il Cassio giovane e accattivante di Stephen Costello (e lo sguardo già torvo di Otello al suo bacio con Bianca nell'esultanza del primo atto già sembra dire tutto, terreno fertile al veleno di Jago), il viscido ma dignitoso Roderigo di Antonello Ceron, le voci gravi ben caratterizzate di Mikhail Petrenko (Lodovico), Simone Del Savio (Montano) e Andrea Porta (un araldo). Anche Barbara di Castri come Emilia offre una delle sue migliori prestazioni.

I Wiener Philharmoniker, con membri aggiunti dell'orchestra del Mozarteum, il Kinderchor del Festival di Salisburgo, il Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor sono complessi strepitosi, ma soprattutto, non avvertiamo la sensazione - piuttosto comune in questi casi - che mantengano una loro identità indipendente rispetto al concertatore. Muti, insomma, non è portato a pensare "con la testa dei Wiener", ma costruisce la sua lettura attraverso le risorse dei Wiener e degli altri complessi austriaci, esaltando le loro peculiarità in un Verdi di perfezione e modernità impressionanti, cui instilla un calore, un senso del canto e della passione tutti italiani. Un Verdi in cui la drammaturgia musicale costituisce il sommo bene, il valore portante in cui anche gli spigoli delle individuali imperfezioni si smussano grazie a una guida acuta e sicura.

In questo caso, più unico che raro, dobbiamo dire, in una collana non sempre all'altezza delle ambizioni, possiamo dire che lo slogan "This is how Verdi should be played" ha veramente ragion d'essere.