L’arte di Chiara Amarù

di Giuseppe Guggino

L’ultimo concerto della stagione sinfonica del Teatro Massimo di Palermo prima della pausa estiva propone un programma abbastanza composito dove spicca il successo personale di Chiara Amarù che incanta ed avvince raccontando le vicende mitologiche della ninfa Aretusa nell’intonazione impressionistica di Ottorino Respighi.

PALERMO, 30 maggio 2014 - Poco hanno in comune le vicende shakesperiane di Oberon (e il profumo di protoromanticismo tedesco dell’opera omonoma di Weber) con la ninfa classicaAretusa nell’italica declinazione à la Debussy che ne fece Ottorino Respighi nel 1911 e forse ancora meno con due capolavori (uno universalmente riconosciuto, l’altro meno) del classicismo viennese come la Sinfonia London di Haydn e la Tragica di Schubert; ma quel poco è abbastanza per passare una serata di buona musica.

Alle prese con l’ouverture dall’Oberon di Carl Maria von Weber la mano di Mihkel Kütson manca un po’ il tocco del pezzo, con la complicità di un corno un po’ tremulo per quanto riscattato dal buon virtuosismo degli archi.

Il concerto prende il largo con l’ingresso in proscenio di Chiara Amarù, giovane mezzosoprano chiamato ad incantare e avvincere il pubblico della sua città d’origine cantando le vicende della ninfa Aretusa, rifugiatasi nell’isola di Ortigia sotto forma di fonte. La pagina sollecita le corde più varie delle risorse espressive della voce umana e trova nella Amarù tutto quello che si potrebbe desiderare per una realizzazione ideale; sono perfettamente a fuoco gli scatti spaventati eppure temperamentosi da vera e propria valchiria in “Ed ecco dall'algente ghiacciaio”, le delicate messe di voce nelle frasi più patetiche ed accorate, la gestione complessiva di uno strumento dal bel colore scuro su tutta la gamma, forse ancora un po’ perfettibile negli affondi, ma già di maturità ragguardevole al quale si augurano tutte le future fortune possibili (che pure già da qualche anno sono cominciate ad arridere).

La successiva corretta realizzazione della Sinfonia n.104 in Re maggiore London di Franz Joseph Haydn e il fitto gioco di dialoghi e rimandi tra le varie sezioni dell’orchestra che il maestro Kütson riesce ad imprimere nella Sinfonia n.4 di Franz Schubert (occupante la seconda parte del concerto) non riescono a valere lo stesso successo appena tributato al precedente piccolo intervento solistico della Amarù; probabilmente perché anche alle orecchie del non numeroso pubblico presente riesce a filtrare lo scarto tra arte e solida routine.