Intorno a Martha

di Antonino Trotta

Martha Argerich torna e trionfa al Ravello Festival con un programma di musica di camera: insieme a Theodosia Nokou e al Quartetto d’archi della Scala esegue opere di Ravel, Noskowsky, Schumann e Šostakóvič.

Ravello, 23 agosto 2020 – Intorno Martha Argerich l’atmosfera è sempre elettrica sebbene sembri che sul palcoscenico, sia anch’esso il più bello del mondo, ella proprio non ci voglia stare: sgattaiola via appena può, appare irrequieta quando le mani prendono fiato, si concede umilmente agli applausi del pubblico, quasi l’entusiasmo prima e dopo l’esecuzione sia orpello inessenziale alla liturgia della musica. Sul Belvedere di Villa Rufolo, però, anche i fiori, appena animati dalla carezzevole brezza marina, sembrano osannare la leggendaria musicista argentina che torna a calcare le scene del Ravello Festival, dopo due anni di assenza, in compagnia degli irrinunciabili friends.

Martha Argerich apre il concerto con la delicatissima suite Ma mère l'Oye eseguita, nella sua versione originale, a quattro mani con Theodosia Nokou. C’è da dire che alla musica di Ravel, fatta di effusioni timbriche, giochi di impasti, illusioni, effetti, gocce di tinte libere di scivolare e trascolorare imprevedibilmente sulla tela, gli incantevoli giardini di Klingsor proprio non rendono il miglior servizio sicché l’esecuzione, pur pregevole nell’idee porte nel dominio dell’acusticamente concesso, risulta certamente meno bella di quanto altrove sarebbe stata.

Nel quartetto per pianoforte e archi op.8 di Siegmund Noskowsky, dove le nozioni apprese dalla scuola di Brahms accolgono rarefatte eco di suggestioni chopiniane, Theodosia Nokou, Francesco Manara (violino), Simonide Braconi (viola) e Massimo Polidori (violoncello) dimostrano di possedere fuoco e anima. Se la seconda di queste frecce va pienamente a segno nel movimento lento (Molto Andante cantabile), quando archi e pianoforte si rincorrono in un malioso crescendo espressivo, l’incedere fiero e maestoso infonde all’Allegro con brio iniziale una grande forza volitiva. Il Moderato assai energico è declinato all’insegna della brillantezza di fraseggio, del tocco e della arcate in punta di fioretto, dell’ebrezza virtuosistica e dell’evanescente leggiadria, nonostante poi non si manchi di enfatizzare il netto stacco della coda, dai toni più sinistri, che prelude all’apertura del Finale. Di fatto l’ultimo episodio segue un percorso drammatico inverso: dopo una caliginosa introduzione il tessuto melodico si fa immediatamente frenetico e comincia a vorticare tra il minore e il maggiore, infiammando così il pubblico presente.

Il quintetto per pianoforte op. 44 è la punta di diamante della serata, non tanto per la presenza della Signora dell’avorio – il cui magnetismo, indubbiamente, catalizza l’evento –, quanto per la fecondità del dibattito che ella è in grado di intavolare con gli archi – a cui si aggiunge il violino di Daniele Pascoletti –, specialmente nel frangente in cui il quartetto della Scala, disposto intorno a Martha Argerich come un serto sul capo di una regina, è assai sensibile nell’accogliere tutti stimoli e prodigo nel ben realizzarli. Ecco allora che il monumentale pianismo non è solo protagonista indiscusso della scena – il tecnicismo estremo, l’inarrivabile fluidità nelle gragnole di ottave, l’impeto incendiario del tocco sono solo alcune tra le mille qualità di un virtuosismo disincantato che perpetua lo stupore dell’ascolto – bensì vero e proprio motore propulsivo dell’azione musicale: esso conferisce vigoria al carattere all’esecuzione persino nelle inflessioni più patetiche, assesta per poi perturbare gli equilibri delle parti, è il punto di messa a fuoco dell’interpretazione ma anche la culla dove le idee a contrasto, che dinamizzano la scrittura, vedono la luce per la prima volta.

Infine il concertino in la minore per due pianoforti op. 94 di Šostakóvič, un giocoso divertissement dopo i due nuclei piuttosto impegnativi del quartetto e del quintetto. Il bis è insolito, «Tanti auguri» a te dedicato alla pupilla Nokou.