Halleluja

di Roberta Pedrotti

Il Teatro Grande di Brescia riapre i battenti a sette mesi dall'esplosione della pandemia e lo fa con il Messiah di Händel nella versione tedesca curata da Mozart. Scelta felice, anche per l'interpretazione di qualità offerta da Marigona Qerkezi, Chiara Tirotta, Didier Pieri, Andrea Patucelli, il coro OperaLombardia e l'orchestra dei Pomeriggi Musicali diretti da Massimo Fiocchi Malaspina.

BRESCIA, 29 settembre 2020 - Anche il Teatro Grande di Brescia riapre i battenti. Dopo sette mesi, il silenzio doveroso nelle settimane più dure, soprattutto qui, l'estate si era comunque animata di eventi all'aperto, c'era stato il concerto vivaldiano nella Chiesa del Carmine [Brescia, Stabat Mater di Vivaldi, 09/07/2020], il Duomo Vecchio aveva ospitato i complessi della Scala per il Requiem di Verdi [Brescia, Requiem (Verdi), 09/09/2020], ma le porte del teatro di Corso Zanardelli erano rimaste chiuse.

Certo, oggi, per forza di cose la capienza è ridotta a circa un terzo, la sala fitta di cartelli che negano l'utilizzo di file intere, ma siamo ancora qui, c'è il senso commuovente ed elettrizzante del ritorno a casa, dell'intercettare sopra le mascherine gli sguardi dei vecchi amici, del pensare “siamo vivi, siamo ancora al Grande”. E la stagione, davvero bella seppur concepita in un dedalo di difficoltà, si apre in maniera più che mai significativa con il Messiah di Händel (1742), anzi, Der Messias, dato che se ne propone la versione tedesca curata da Mozart nel 1789.

La durata dell'oratorio nella sua forma originale, così come la maestosità della partitura difficilmente si sarebbero adattate alle esigenze dei nostri tempi, per una serata senza intervallo che non raccogliesse almeno qualche centinaio di persone troppo a lungo in una stessa sala, per quanto ampia. Invece di stagliuzzare Händel alla bisogna in maniera magari maldestra, molto meglio ricorrere a una rielaborazione d'autore: ne abbiamo e ne potremmo commissionare, giacché la storia della musica è fatta anche di omaggi, riscritture, adattamenti. Purché cum grano salis, basta saper conoscere, ricercare o anche creare e le risorse sono infinite: l'emergenza della pandemia potrebbe ricordarcelo anche in tempi normali, quando invece di lacerar partiture sul letto di Procuste, basterebbe proporre eventuali versioni alternative, intervenire con consapevolezza o anche sceglier altro.

Questa versione di Mozart cassa una decina di numeri, modera la magniloquenza virtuosistica in favore di un'espressione più patetica, aggiorna l'orchestra con nuovi colori in legni e ottoni, in generale ci trasporta dal carattere trionfale della prima metà del secolo allo spirito proteso al sentimento del suo declinare. Permane il perfetto equilibrio della struttura tripartita e della triplice progressiva ascesa che riassume, progetto ambiziosissimo, l'intera narrazione biblica della tradizione cristiana: la speranza e l'attesa di un salvatore e il giubilo per la nascita del Messia; la passione di Cristo e il trionfo nella risurrezione; l'angoscia della morte e del Giudizio universale, la rinascita dell'umanità redenta. Da una solitudine, un'angoscia, un dolore, una consolazione e una rigenerazione, dalle tenebre la luce.

Seppure più variegata nel'organico, la riscrittura mozartiana si presta a una visione raccolta e intimista, quale ci restituisce Massimo Fiocchi Malaspina sul podio dell'orchestra dei Pomeriggi Musicali e del coro OperaLombardia. Si impegna anche al cembalo, ma ne fa uso assai parco, solo per poche battute di recitativo, proprio a sottolineare la novità mozartiana rispetto a Handel anche con il tramonto progressivo del continuo integrato stabilmente all'orchestra, ormai protesa verso nuovi equilibri. Il suono è terso, delicato nel pathos e luminoso nella speranza, il coro ha inevitabilmente il suo momento di gloria nel celeberrimo Halleluja, ma dimostra nel corso dell'intera serata bella chiarezza, gusto e garbo d'articolazione ed espressione.

Il ben assortito quartetto vocale può contare sul suono cristallino e la musicalità di Marigona Qerkezi, capace di piegare un canto luminoso al pathos più elevato; sulla classe e l'emissione sempre morbida e controllata di Chiara Tirotta, dall'accento ben misurato e dal suono elegantemente ambrato in tutta la tessitura; sul mordente vivido senza perder di vista stile e rigore oratoriale di Didier Pieri, a suo agio in una vocalità settecentesca non esangue;  sull'intelligente espressione e la sicurezza di Andrea Patucelli, sempre attento al senso musicale delle sue arie.

Un bel successo, ben meritato, per tutti. Un bell'auspicio per il ritorno a teatro.