Cembalo, cicli e marionette

di Roberta Pedrotti

In streaming dal Teatro Massimo di Palermo, Omer Meir Wellber suona il cembalo e dirige Haydn Schumann e una nuova composizione di Aziza Sadikova in un programma denso di significato.

Streaming da Palermo, 13 dicembre 2020 - Un piccolo inconveniente modifica l'ordine previsto e due brani nati per venir accostati si separano per sigillare un programma ciclico, mentre si sposta al centro, creando una successione cronologica, lo Schumann pensato come epilogo.

Cambiando l'ordine degli addendi, il concerto diretto da Omer Meir Wellber nel Teatro Massimo di Palermo chiuso al pubblico e aperto online mantiene salda la sua logica interna, circolare e lineare, propulsiva e riflessiva.

L'Ouverture da Philemon und Baucis di Haydn assolve al suo scopo primario d'introduzione, ma racchiude in sé molto più della grazia pastorale così ben evidenziata dagli interventi dei legni: è un'opera superstite, l'unica per teatro di marionette pervenutaci dal catalogo haydniano e, quindi, testimone di un teatro di figura di radici popolari, tradizioni infantili, ma esiti anche nobilissimi ed eredi ancora nelle avanguardie del XX secolo. E la favola degli anziani coniugi umili, ospitali e generosi è ben più di un bozzetto edificante d'Arcadia, se Goethe ne farà il culmine della decadenza morale e quindi il cardine della conversione utopista di Faust, della sua redenzione. Il cembalo suonato da Wellber al basso continuo evidenzia il legame con il passato, un intimismo complementare alla cantabilità dei legni e alla pasta morbida e ombreggiata degli archi, ma anche quel senso meccanico che accomuna la corda pizzicata all'attore artificiale del Puppenspiel. Si ravvisano, nella grazia affettuosa della pagina di Haydn, significati e sviluppi che si intrecceranno nel prosieguo del programma.

Schumann, dall'incipit pensoso al ruolo dei fiati nella Romance, sembra sorgere dallo stesso ideale delineato da Haydn, ma rappresentarne lo sviluppo tormentato e drammatico di Goethe (nel Faust Filemone e Bauci non muoiono sereni nella loro casa, ma dopo esserne stati scacciati dall'eponimo). L'anelito vitale e il respiro sereno che non cessa di riemergere è costantemente tormentato da un moto perpetuo tumultuoso, che Wellber rende sempre problematico e dialettico, un continuo divenire cui sottintende un senso inesorabile di danza, voluttuosa e sfuggente.

Approdo solo temporaneo di questo divenire è il brano in prima italiana di Aziza Sadikova (nata in Uzbekistan nel 1978) Marionettes, commissionato da Wellber proprio per Palermo e la BBC Philharmonic e ispirata all'ouverture di Haydn, ma anche all'opera cembalistica di Couperin. Proprio il cembalo, ancora associato alle puppen, vi entra in posizione concertante, anche se l'emergere di frammenti antichi affidati a diversi strumenti sospende le definizioni gerarchiche nell'organico. Certo, l'uso della tastiera a corde pizzicate in contesto contemporaneo colpisce non tanto per una questione timbrica già ben sperimentata nell'ultimo secolo, quanto per l'aspetto tecnico, per l'uso di figure pianistiche che con meccanica diversa comportano esiti diversissimi. È il caso del glissando, in cui, sul flebile pizzicare di note in successione che nulla ha a che fare con lo scivolare dei suoni di un pianoforte, prevale il percuotersi indefinito dei tasti stessi, bacchette di legno su cui scorrono le dita con, lontano, un tintinnio di crorde. La ripresa del suono in streaming, così come l'inquadratura, enfatizza l'effetto e ci chiediamo come risulterebbe dal vivo: più o meno efficace? Più uditivo o visivo? Quanto differente? Interrogativi ancora sospesi, mentre il lavoro di Sadikova continua ad accumulare tensioni, combinando diversi riferimenti tonali – e atonali – su crescendo d'impianto monimalista in cui si incuneano pure epifanie timbriche, citazioni, frammenti fino a una conclusione aperta. Aperta e pronta a riaprire un ciclo, a riconnettersi ad Haydn, a ripartire e rigenerarsi come il teatro stesso.

Ora, questa fase del ciclo ci costringe ad aprire altre finestre, a battere altre strade, a entrare diversamente nel teatro e scoprire magari in altro modo le voci degli artisti, come succede qui, quando fra un pezzo e l'altro Omer Meir Wellber interloquisce con due professori d'orchestra parlando di musica e di fare musica, di Haydn Schumann e Sadikova, di ciò che manca e ciò che si cerca di riscoprire suonando soli, distanziati, a organico contingentato. Speriamo ancora per poco, ma con nuove consapevolezze.