Vienna, solamente tu!

di Andrea R. G. Pedrotti

Entusiasma il concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker dal Musikverein di Vienna, diretto da Andris Nelsons con sapienza, fra atmosfere oniriche e rapinose. 

VIENNA, 1 gennaio 2020 - A un mese dalla scomparsa di Mariss Jansons e da quel podio vuoto al Musikverein, il testimone di una bacchetta baltica per il Neujahrskonzert der Wiener Philharmoniker, passa a Andris Nelsons.

Dalla seconda metà del XIX secolo la città di Vienna è faro dell'intelletto d'Europa e del mondo e la sua mentalità non può essere considerata ristretta alla sola Austria, bensì al suo esser stata centro pulsante, un tempo anche politico, oggi solo culturale, di tutta la Mitteleuropa. Oggi, all'interno di un Musikverein fiorito, scintillante, gremito e festoso come sempre ritroviamo un compendio di viennesità autentica, assai differente dall'ideale teutonico che, per la vulgata, fa considerare la città che fu di Franz Josef d'impronta culturale esclusivamente tedesca. Tutt'altro, perché Vienna è intelletto, ragionamento, angoscia, giocosità, tormento, ossessione, riflessione al tempo stesso.

La grande Vienna ha cessato di esistere come capitale d'un impero che fu fra i più estesi dell'epoca contemporanea, ma non ha mai cessato d'essere immensa guida di cultura per territori ancora più estesi. Nella giornata di Capodanno essa assolve al suo compito di pacifico imperialismo, manifesto e non imposto, facendo il suo ingresso nelle case di novanta milioni di telespettatori sparsi per tutto il mondo.

Il grande antropologo Fernand Braudel definì realtà come quella viennese “prigioni di lunga durata”. È così che la città mantiene il suo rituale, le sue convenzioni, la sua identità, il suo schietto patriottismo per un impero che di cui mai cesseranno di essere orgogliosi, conservandolo nella loro memoria. I viennesi vivono nel culto delle tradizioni, ma sarebbe sciocco e puerile definirli conservatori, poiché proprio a Vienna, e grazie a Vienna, si sono sviluppare le idee più innovative e rivoluzionarie che, nel bene e nel male, ancor oggi segnano la nostra vita e il nostro modo di pensare.

La ritualità, la tradizione, in fondo non è altro che un gioco di ruolo, ma col termine “gioco” non si deve considerare che qui si stia svilendo la serietà del contesto complessivo, perché nessuno è più serio di una persona adulta qualdo si dedica all'attività ludica, fondamentale alla crescita del bambino, quanto a quella di una mente dinamica, e questa dinamicità intellettuale, a Vienna, è da sempre vorticosa, inarrestabile, dirompente.

Andris Nelsons conduce i Wiener Philharmoniker e ha modo di esprimere la viennesità più pura. Questo sublime organico di eccelsi strumentisti consente a un direttore d'orchestra di ottenere qualunque cosa egli desideri, ma con la grande difficoltà di confrontarsi con i migliori musicisti al mondo, cosa che impone ancor più capacità di interpretazione, perché a Vienna, e con i Wiener Philharmoniker, la mediocrità non può essere tollerata. Ed ecco che nella sala del Musikverein si gode di quell'incensante rubato continuo e inarrestabile, inserito nell'algoritmo di un fraseggio musicale che, nel suo particolare ritmo di walzer, altro non è che espressione della forza dell'intelletto.

Del programma si è già detto alcuni giorni or sono [leggi] e non vale la pena di ripetersi, ma, piuttosto, val la pena di notare come a una tale sequenza di brani sia stato conferita una personalità che, senza mai tradire lo stile, Nelsons ha delineato grazie a un'agogica esaltante dello stile medesimo. Basterebbe ascoltare la celeberrima Trisch Trasch Polka, in una delle esecuzioni migliori di sempre. Un brano breve, ma che, grazie a una sapiente proporzione dei tempi, ha saputo ottenere un senso di vorticosità travolgente, conclusosi in un'atmosfera di sospensione quasi onirica. Discorso simile per la magistrale lettura del Dynamiden Walzer, soave, coinvolgente e commovente al tempo stesso.

Vale la pena rammentare la Polka Schnell aggiunta, come da tradizione, ai bis consueti: è stata la Im Fluge, op. 230.

Al termine, come sempre i primi accordi del walzer An der schönen blauen Donau, op. 314 fino all'attacco del corno, quindi il tradizionale “Prosit Neujahr!” dell'intera orchestra e il walzer vero e proprio.

Poi i saluti con la Radetzky-Marsch, in una nuova edizione critica, non troppo diversa dalla precedente, ma più corretta dal punto di vista filologico rispetto all'arrangiamento in uso dagli anni Trenta.

Qui conviene fare una piccola considerazione, che non vuole avere della polemica, ma se qualche mente ottusa (per fortuna poche) a sud delle Alpi ha avuto di che lagnarsi ritenendo l'operazione scientifica dei Wiener Philharmoniker un gesto pretestuoso e, successivamente, ha preso a criticare la storia e la figura di Radetzky, forse dovrebbe rammentare che il concerto si tiene a Vienna - non in un museo del Risorgimento - e che rappresenta un abbraccio planetario fra i popoli, un momento di festa e di celebrazione della grandezza culturale di una città e della musica stessa, il linguaggio più universale che possa esistere. Se, invece, proprio si vuole insistere sul piano della storia nazionale, bisognerebbe rammentare che Radetzky fu un ufficiale che faceva sparare contro gli italiani, contro i quali era in guerra il suo Paese, l'Austro-Ungheria, mentre noi, al contrario, intitoliamo strade e piazze a chi fece decimare i fanti italiani, ossia il generale Cadorna. Chi è più in contraddizione? Certamente non i viennesi.

foto Terry Linke