L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Insofferenza al destino

di Antonino Trotta

Beethoven e Mozart rompono il silenzio imposto dall’emergenza sanitaria: la Filarmonica TRT, sotto la direzione del maestro Gianandrea Noseda, suona entusiasta nei giardini della Reggia di Venaria.

Venaria Reale, 13 luglio 2020 – Di questo concerto avevano tutti una gran voglia. Ne aveva gran voglia Gianandrea Noseda, chiamato a dirigere per la prima volta dopo il lockdown la “sua” filarmonica per il “suo” pubblico; ne aveva gran voglia Torino, riversatasi copiosa nel Cortile delle Carrozze dell’incantevole Reggia di Venaria Reale per godere finalmente, dal vivo, di un’ora di buonissima musica; ne aveva gran voglia la Filarmonica TRT, nata dal grembo dell’amato Teatro Regio e quanto mai desiderosa di vedere sgretolarsi quel muro di silenzio che, per la pandemia innanzitutto e per qualche picchiata amministrativa inoltre, minacciava di far ombra sul palcoscenico oltre il dovuto.

Il locus amoenus dell’immaginazione mozartiana, così ben descritto dallepagine della Sinfonia n.39 in mi bemolle maggiore K 543 in apertura di serata, sembra trarre luminosità dal coinvolgente entusiasmo che avvolge la piazza: è la gioia della consuetudine prima dell’isolamento, la fascinazione disincantata del piccolo quotidiano che si affida al racconto del testo di Mozart. In quest’entusiasmo, tuttavia, Noseda non sguazza: le volate maliziose del tema principale del Minuetto – in cui direttore e orchestra cesellano un diminuendo di assoluta raffinatezza–, lo slancio corrusco del dialogo archi-legni nell’Allegro iniziale, persino la drammatica virata dell’Andante con moto, ove la calda serenità della sinfonia è temporaneamente messa in discussione ma mai turbata, certificano che di suddetta emozione si fa codice estetico e non retorica esecutiva. Sebbene non sempre l’amplificazione elettronica renda giustizia alla rotondità di suono e morbidezza all’amalgama orchestrale – di cui si conosce benissimo e di cui si ammira lo smalto –, la bacchetta di Noseda si dimostra capace di sillabare agogiche istrioniche e di scolpire fraseggi ispirati, determinati e volitivi che, innestati in un complesso di idee architettoniche di stampo classico, suggeriscono effettivamente di pensare alla Trentanove come all’Eroica di Mozart.

La Quinta di Beethoven irrompe allora quale un fulmine a ciel sereno, furente e imperiosa come la cavalcata di una valchiria. Il gesto è immediatamente perentorio, il celeberrimo inciso di apertura ritmicamente implacabile, austero, scevro da ogni pur impercettibile coda che ne irrida l’autorità: il destino non bussa alla porta nemmeno una volta, la sfonda e piomba in casa senza annunciarsi, senza fornire spiegazione alcuna, come una pandemia, come un commissariamento. Noseda chiede alla filarmonica e dalla filarmonica ottiene fendenti espressivi e sonorità plumbee che animano di carica demoniaca l’Allegro con brio iniziale al punto da imporre di seguire il suo climax drammatico con la bava alla bocca. Immerso in un’atmosfera di accogliente placidità, l’Andante con moto – Più moto successivo avanza con passo garbato e nobile tra una variazione e l’altra, ora accennando al prorompente epilogo della sinfonia nella grandiosa enunciazione del tutti, ora lasciando delicatamente cantare liberi dalla morsa del tempo – e al sicuro da vezzi e smancerie – flauto e clarinetto. Lo Scherzo (Allegro), inizialmente ben calibrato nel suo fosco portamento, rivela ben presto un’irrefrenabile insofferenza. Man mano che all’orizzonte si avvicina l’Allegro, Noseda tempera con un sottile accelerando l’eco del motto iniziale e la coda affinché al finale si acceda carichi di desiderio liberatorio e energia propulsiva: l’uomo ha di nuovo tra le mani il proprio futuro. L’augurio che il maestro Noseda, con poche parole tra gli scroscianti applausi conclusivi, rivolge alla “sua” filarmonica è questo.

Di questo concerto avevano tutti una gran voglia. Ma anche un gran bisogno.


 

 

 
 
 

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