Le ombre sotto le stelle

di Roberta Pedrotti

Un Rossini Opera Festival necessariamente atipico infrange riti e abitudini. Fra i concerti e Il viaggio a Reims che si daranno all'aperto, La cambiale di matrimonio abbinata a Giovanna d'Arco si presenta bifronte: le recite in teatro, per la prima e l'ultima anche la proiezione in piazza. In questo momento, una doppia opzione non priva di significati.

PESARO 8 agosto 2020 - In questa strana estate, la vita musicale sospesa si rianima, ma cambia forme, polverizza i suoi riti.

Il Rossini Opera Festival c'è, continua caparbiamente a esserci, anche se riduce all'osso la produzione operistica nella prima e più breve delle farse veneziane, se rinuncia nel programma ufficiale a ogni impegno per i cori (forse i musicisti a soffrire di più, di questi tempi), se concentra tutta l'attenzione su una serie – prestigiosa – di concerti di canto. Si riduce, si contrae, si condenza, però, per espandersi. Le prove generali diventano anteprime se non, quasi, debutti ufficiali, si aggiunge, prima dell'inaugurazione vera e propria si dà una Petite Messe Solennelle come commosso omaggio alla tragedia della pandemia. Mariangela Sicilia, Cecilia Molinari, Manuel Amati e Mirco Palazzi sono tutti legati al Rof, ai pianoforti e all'harmonium siedono volti noti del Festival e del Conservatorio, come Giulio Zappa, Ludovico Bramanti e Luca Scandali. La pesarese d'adozione Liliana Segre e il pesarese doc Roberto Burioni potrebbero essere considerati ospiti d'onore data la situazione, e lo sono, soprattutto per il ruolo istituzionale della Senatrice, ma sono anche ben noti abitué del festival, amanti veri della musica e di Rossini.

Il festival deve ridurre drasticamente il pubblico, sia per la capienza sia per l'impossibilità di tanti ospiti consueti di raggiungere l'Italia, ma dilatare gli spazi. Il Teatro Rossini può contenere meno di duecento spettatori, ma i concerti e Il viaggio a Reims, come la Petite Messe, si danno in Piazza del Popolo, dove può trovare posto il triplo delle persone. Nella stessa piazza, poi, si proiettano la serata inaugurale e quella conclusiva della Cambiale di matrimonio.

Mentre fuori dai margini delle scene si consuma la strana dicotomia fra la coscienza – anche quella che sta ancora elaborando il lutto collettivo e rifugge ogni sentimento festivo – e l'incoscienza che affolla la battigia come se nulla fosse, il teatro e la musica dimostrano che, comportandosi bene, si può ancora fare molto. Senza affannarsi, senza far finta di niente, senza strepitare. Certo, il pubblico è ridotto; certo, le orchestre suonerebbero meglio e più agevolmente a ranghi serrati; certo, sul palco non 'è la piena libertà di stringersi, toccarsi, interagire. Però, quando sotto le stelle centinaia di persone si collegano in diretta con un teatro che non può ancora accoglierle come vorrebbe, si crea un piccolo miracolo. Si applaude, perfino, e vien da gridare “bravi” anche se gli artisti, al chiuso duecento metri più in là, non ti possono sentire.

In attesa di passare dall'altra parte, al teatro vero e proprio, in contatto diretto e fisico, condividiamo queste che ci sembrano più di ombre proiettate nella caverna. Perché queste ombre sono proiettate nel momento in cui l'arte si contrae e si diffonde, in cui abbiamo più che mai bisogno di riviverla e ripensarla.

Aprire il festival con la Giovanna d'Arco, la cantata che precede in questa produzione La cambiale di matrimonio, suscita una particolare emozione, perché la musica, prima di trionfare, sorge dal silenzio, da quella notte in cui è “muta ogni cosa e afflitta”. Il primo piano di Marianna Pizzolato rende ancora più ispirata la dolcezza nostalgica di “O mia madre, e tu frattanto”, e perfino la candida tenerezza che traspare nel bellico entusiasmo “ma questa e timida, fra lo stupore, | chi se' domandano”. È commuovente per gli affetti universali che trovano consonanza con i nostri, è commuovente pensando a Gioachino che scrive – cosa più unica che rara – del pensiero della Pulzella rivolto alla madre proprio quando lui precipitava nella depressione, spentasi l'amatissima genitrice mentre il figlio mieteva successi a Parigi (“ogni madre, ogni francese | la mia amdre invidierà ]...] Eppure piange”, canta Giovanna). Pensando a Gioachino che dedica queste pagine al suo nuovo amore, la donna che lo salva dal male oscuro e lo accudisce negli ultimi anni, Olympe Pélissier. Siamo pur sempre a Pesaro, il nostro sentire di oggi trova consonanze con il sentire del genius loci.

E, invece, questa Cambiale è gioia. E non perché si tratta di una commedia. Gioia di ascoltare il debutto teatrale del diciottenne Gioachino, così semplice, quasi schematica, se vogliamo, rispetto a quello che verrà, eppure così piena di un'energia tale da imporre subito a chiare lettere che è arrivato sulle scene il Napoleone della musica. Il cast è ottimo, e se ne dirà senz'altro meglio in teatro, ma anche così, in un allestimento un po' vecchia maniera, passa attraverso lo schermo l'energia di una “piccante signorina”(Giuliana Gianfaldoni) decisa e volitiva, né banalmente buffa a languidamente sentimentale, o di un pretendente rifiutato ( Iurii Samoliov) che, oltre a cantar bene, è un così bel ragazzo dal far riflettere sui veri motivi per cui Fannì non ne voglia sapere di sposarlo: è questione di principio, oltre che d'amore vero per un altro. Troppo facile, invece, quando Slook è un buffo panciuto e sopra le righe, constatare che lei propenda per il dolce tenorino (qui Davide Giusti, mentre il padre Tobia è Carlo Lepore). Ecco: la prima apparizione sulle scene di Rossini ha già qualcosa più del cliché messo in mano al giovin principiante per stagioni organizzate in economia per le esigenze di un mercato vorace. Oggi, quando altre contingenze replicano variate le limitazioni in cui il teatro ha sempre dovuto fare i conti, anche diffuso, ripensato, distanziato, polverizzato e sparso in spazi aperti, trova quell'energia che ci rende il respiro, ci regala una gioia che è qualcosa di più profondo della risata per una gaga. È una sensazione di vita. Anche nell'ombra proiettata su uno schermo, nella grande caverna della piazza dove distanziati ci raccogliamo.

Arrivederci a teatro.