Enorme Falstaff!

di Antonino Trotta

Grande successo per il Falstaff della Fondazione Teatri Piacenza: nel cast s’impongono Luca Salsi e Giuliana Gianfaldoni, al debutto nei rispettivi ruoli, e figurano benissimo Serena Gamberoni e Vladimir Stoyanov. Debutto più in sordina per il regista Leonardo Lidi, al primo approccio col teatro d’opera.

Piacenza, 26 gennaio 2020 – Falstaff è un personaggio enorme. Appena una manciata di battute e il nome di questo presunto Don Giovanni in disuso piomba come fulmine a ciel sereno per squarciare la vorticosa girandola innescata dalla tracotanza di un paio di beoni e le querele del pedante Dottor Cajus. Falstaff è un’opera enorme, enorme perché scomoda Shakespeare e il suo teatro, enorme perchè Verdi ivi raccoglie i frutti maturi della collaborazione con Boito, iniziata con Boccanegra e quindi consolidata con Otello. La musica di Falstaff è enorme perché quasi un unicum nella produzione del cigno di Busseto per quella ingombrante compattezza di “ispirazione” tedesca, talora già esperita negli ultimi lavori, in cui è anche difficile orientarsi tant’è denso il pulviscolo sonoro, tant’è imprevedibile e cangiante il dettato.

Un capolavoro enorme esige allora un protagonista enorme e tal s’è dimostrato Luca Salsi che debutta nel ruolo di Sir John in una produzione targata Cristina Ferrari, marchio di qualità con cui Il Teatro Municipale di Piacenza può certificare spettacoli che tonificano le spalle del teatro di provincia. Fior fiore dei baritoni italiani, verdiano di nascita e d’elezione, Salsi rende onore al sublime testo di Boito – e sappiamo quanto Verdi, specialmente in questo caso, ci tenesse – calibrando con gusto e intelligenza ogni parola, allora gustosamente speziata nel colore e nell’accento. Non sfuma tantissimo, questo è vero, ma quando la voce si erge imponente sull’orchestra e si apre nei passaggi cantabili, forte di una proiezione eccellente e di un timbro statuario, non ce n’è per nessuno.

Rimanendo in tema di primati e di debutti, come non soffermarsi estasiati sull’incantevole Giuliana Gianfaldoni. Tanto s’è parlato di lei quest’anno e tanto si continuerà a parlare – chi ritiene faccia gli opportuni scongiuri – di questa voce adamantina che si espande in lamine di suono impercettibili. Nannetta è il suo ruolo, e per i benefici che ella trae dalla sua fisicità angelicata – nell’opera il physique du rôle conta –, e per la purezza della scrittura che dalle mezze voci magnificamente impostate e dal canto squisitamente legato ottiene la più alta gratificazione.

Le risorse del parterre vocale, comunque, non si esauriscono qui perché accanto a Salsi e Gianfaldoni, punte di diamante della scuderia Ferrari, guadagnano calorosi e meritati consensi anche gli altri elementi del cast. Serena Gamberoni è un’ottima Alice: smorza, picchietta, fraseggia con spirito e arguzia, fa insomma benissimo tutto quello che c’è da fare per vestire al meglio i panni della comare alfa. Del resto la classe non è acqua e Gamberoni ne ha da vendere. Assolutamente lodevole Vladimir Stoyanov, Ford assai incisivo per la beltà dei mezzi e ben articolato sul versante espressivo, in perfetta corrispondenza con una spigliata dote attoriale. Spassosa ma meno accattivante musicalmente la Quickly di Rossana Rinaldi. Da mettere a punto, nonostante il buonissimo materiale, il Fenton di Marco Ciaponi. Più che corretti Florentina Soare (Meg), Luca Casalin (Dottor Cajus), Marcello Nardis (Bardolfo), Graziano Dallavalle (Pistola); ottima la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito dal maestro Corrado Casati.

Sul podio, alla guida dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, Jordi Bernàcer impone una direzione decisamente vivace, soprattutto laddove la commedia avanza golosa e repentina. Le agogiche scattanti non mettono a repentaglio la serenità col palcoscenico, a cui Bernàcer non manca di concedere respiro; certo un po’ di velluto in più nell’orchestra non avrebbe guastato, a completamento di un intreccio strumentale ben sciolto, ma nel complesso la lettura del direttore spagnolo è soddisfacente.

La messinscena, infine. I primi passi nel mondo dell’opera lirica che il regista Leonardo Lidi muove sono passi in punta di piedi. Lo spettacolo, merito in primis delle eleganti scenografie di Emanuele Sinisi, ravvivate ad arte dalle soluzioni illuminotecniche di Fiammetta Baldiserri e ben corredate dai bellissimi costumi di Valeria Donata Bettella, ha indubbiamente il suo fascino. In molti momenti funziona benissimo: funziona benissimo ad esempio il primo atto, col cambio scena a vista che dall’osteria conduce ai giardini, qui ritratti su un velatino calato a metà del palcoscenico; funziona benissimo la chiusura del secondo, quando la cesta che nasconde Falstaff piomba dall’alto, con assicurato effetto wow, nel Tamigi. E tutto sommato funzionano anche i quattro mimi en travesti che, come i topolini di Cenerentola, fanno praticamente di tutto: sbaraccano la scena, animano l’azione, concretizzano i ricordi e le fantasie del protagonista, sono il paggio Robin e l’oste della Giarrettiera, il paravento di casa Ford ma anche Ned, Will, Tom, Isaac, e senza dubbio con loro Lidi si è divertito, rubando con garbo e a tempo la scena senza mai precipitare nel farsesco. Funziona invece a tratti l’idea di un regia vis à vis anzi, giacchè siamo in Inghilterra, face to face col pubblico: va bene nei monologhi, quando è legittimo voler individuare un contatto diretto con la platea, meno dove l’interazione tra i personaggi diventa necessaria ai meccanismi della commedia – il finale, spiace constatarlo, appare piuttosto rinunciatario –, anche perché il taglio che Lidi tra l’altro ben commenta nell’intervista andata in onda durante lo streaming, rischia comunque di confondersi con l’aborrito sbracciarsi in proscenio di cui purtroppo è ancora affetto il teatro d’opera.

Il teatro è gremito e il pubblico entusiasta tributa riconoscimenti a tutti, con punte di furore per Salsi e Gianfaldoni. Enorme successo, appunto.

 

foto Gianni Cravedi/Mirella Verile