Porta socchiusa su Linda

di Francesco Lora

Al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, la Linda di Chamounix destinata allo streaming è soprattutto l’antipasto di quella che attende in sala il pubblico in carne e ossa. Questo Donizetti esigerebbe molto anche dal concertatore e dal drammaturgo, ma gode qui soprattutto di una compagnia di canto esemplare: Jessica Pratt, Teresa Iervolino, Francesco Demuro, Vittorio Prato, Fabio Capitanucci e Michele Pertusi.

FIRENZE, 10 gennaio 2021 – Alla pandemia che disillude e alle necessarie restrizioni, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino ha reagito così: si continua a provare, fare musica e andare in scena, tra tutte le precauzioni del caso. Obiettivi: tenere in esercizio la macchina dell’istituzione e l’identità delle maestranze – come le ritroveremmo, altrimenti, dopo un lungo silenzio? – ed essere pronti a ripartire in piena regola appena ciò divenga ragionevole e consentito. Un aspetto non deve passare inosservato: il MMF ha sana sete di normalità, nel lavoro che svolge e in quello che presterà una volta domata l’emergenza sanitaria. In altre parole: l’opera in streaming può andar bene come succedaneo, ma quell’opera data per una sola recita, e ripresa dalle telecamere a porte chiuse, non vuole né deve essere un prodotto televisivo, bensì l’antipasto dello stesso spettacolo, pronto, che verrà poi orgogliosamente recuperato davanti al pubblico in carne e ossa. Al MMF non si bruciano gli spettacoli a lungo attesi, insomma, per farne un intrattenimento diminuito e provvisorio (e a chi scrive fremono le dita sulla tastiera, onde astenersi dall’elencare gli spettacoli prima agognati e poi sciupati nel compromesso). Tanto è stato detto a proposito di Otello di Verdi, rappresentato e trasmesso il 30 novembre scorso, e tanto bisogna ora ripetere a proposito di Linda di Chamounix di Donizetti. Il nuovo allestimento, con le sue sei recite dal 23 dicembre al 10 gennaio, ha subìto un rinvio, ma lo spettacolo è stato preparato e una prima recita, senza pubblico, è stata registrata proprio nel pomeriggio di domenica 10: venerdì 15 sarà resa visibile sul sito del teatro – prendere l’agenda – grazie a una collaborazione virtuosa con la casa discografica Dynamic, il sito Operabase e la piattaforma Takt1.

Recita a porte chiuse. Debitamente autorizzata, però, l’ape era in sala e condivide ora un po’ di miele. Tanto vale vuotare subito il sacco di quello meno dolce. Linda di Chamounix è tra i lavori donizettiani più maturi per drammaturgia e più rifiniti per strumentazione, così come l’Orchestra e il Coro del MMF vantano motori degni di essere affidati a un pilota fuoriclasse. La direzione di Michele Gamba, però, si accontenta di procedere a passo fiacco di vecchia tradizione, sorvolando su dettagli preziosi e affaticando il fiato dei cantanti. Con la vivacità del ritmo manca l’esattezza di diversi attacchi, e la causa sarà forse in quelle mani destra e sinistra che agiscono insieme anziché occuparsi separatamente dell’orchestra e della scena. Accomodarsi nella tradizione è spada di Damocle anche sull’allestimento con regìa di Cesare Lievi e scene e costumi di Luigi Perego. Tre esempi tra i molti possibili. Se si sceglie come punto di riferimento la verosimiglianza, non si può dare un coro di paesani dove ciascuno indossa la mascherina e tiene aperto sul naso il libro-parte: occorre sapersi inventare qualcosa per scansare l’assurdità. L’abitazione parigina di Linda dovrebbe trasudare lusso, in vivo contrasto col frugale contesto d’origine, per mostrare l’involontaria evoluzione di lei a mantenuta: qui però si vede un appartato nido d’amore, una casetta di graziosa inerzia drammatica. Per tutta l’opera, infine, Antonio, il padre di Linda, è concepito come un vegliardo decrepito anziché come l’energico padre di un’adolescente: non è la stessa cosa, se la parte prevede addirittura una furiosa scena di maledizione. E via così. Nel 1997 la Linda di Mariella Devia, nello spettacolo di Denis Krief, cantava «Tu se’ in grand’uniforme» alle mutande di Luca Canonici come Carlo. Eppure c’era più coerenza.

Poi si passa a parlare della compagnia di canto, e allora il miele scorre a fiumi. Jessica Pratt, nella parte eponima, è un lampasso di seta a ogni tornitura di frase e un diamante all’interpolazione di ogni nota sopracuta; possiede il segreto della vera primadonna romantica all’italiana: quanto più esibisce risorse sovrumane, tanto più sa apparire cordiale, radiosa, virginale, semplice, come se tanto bendidìo fosse un’ovvietà. L’altra meraviglia è Teresa Iervolino, che nella parte di Pierotto trova una tessitura gravissima, congeniale a nessuna fuorché a lei: colore, volume, smalto e legato impressionano, anche in questo caso, per la naturalezza d’ostensione di stile, tecnica e materiale impareggiabili, tutti però finalizzati alla messa a punto del tenero orfanello. È poi il turno di Francesco Demuro, che squilla e sfuma là con una tale insolenza, qui con una tale padronanza da lasciare euforici: Carlo di Sirval, l’ennesimo poco simpatico tenore del teatro donizettiano serio, attraverso di lui entra nel cuore come se fosse un Nemorino. Due i baritoni. Il primo tiene la parte paterna, distinta e cantabile di Antonio, ed è un Vittorio Prato al solito musicale, incisivo, prestante sulla scena a dispetto della vecchiaia impostagli e scolpito nel canto nonostante il tenue accompagnamento. L’altro baritono tiene la parte melliflua, buffa, grottesca del Marchese di Boisfleury, e i mezzi vocali e l’arte scenica sono quelli risonanti e disinvolti di Fabio Capitanucci. Lusso inaudito nel Prefetto di Michele Pertusi: la sesta parte in gerarchia balza al consueto capolavoro di pacata autorevolezza nel caratterizzare, di sovrana nobiltà del porgere e di trattatistica applicata nel cantare. Ancora lusso nell’ambrata Maddalena di Marina De Liso, come pure nel brillante Intendente di Antonio Garès.