Il gioco e il dramma delle maschere

di Roberta Pedrotti

In streaming da Genova debutta il dittico formato da La serva padrona di Pergolesi e Trouble in Tahiti di Bernstein, con la direzione di Alessandro Cadario e la regia di Luca Micheletti, anche protagonista sulla scena al fianco di Elisa Balbo.

A porte chiuse, i teatri continuano a lavorare e gli schermi non sono che un’infinitesima punta di iceberg. Ancora in febbraio, a Genova, si erano realizzate le riprese di questo dittico Pergolesi/Bernstein, contando sull’organico ridottissimo e sulle brevi durate, oltre che sull’opportunità di avere una coppia protagonista congiunta anche nella vita e dunque esentata da distanziamenti, con un baritono che è anche regista. La prima tv si riserva all’emittente locale - visibile in rete senza limitazioni - Primocanale, ma seguirà una trasmissione a fine mese sulla web tv del teatro, con maggiore flessibilità di orari.

La serva padrona e Trouble in Tahiti si svolgono entrambe in un ambiente molto vicino a chi le ha create. Da un lato la società del primo settecento, la presenza di giovanissime servette o pupille che magari celava abusi da parte dei padroni o tutori, ma in teatro si dissimula con l'intervento di un giovane buon partito che impalma e sposa la fanciulla, se d'estrazione sufficientemente elevata, o con l'astuzia spregiudicata della popolana che sfrutta l'interesse del padrone a proprio vantaggio. Nihil sub sole novi, corruzioni e concussioni sessuali, ricatti o liberi scambi, filtrati dalla satira e dall'astrazione dei tipi della commedia dell'arte. Dall'altro l'orrore della perfetta coppia borghese, nel delizioso suburbio del Midwest, idillio in cui in realtà non ci si sopporta più, ci si evita, si cercano scappatelle e alcool, psicanalisi e calcetto (palla a mano, anzi), si trascurano  i figli, ci si mente, ma tutto purché il vicinato non abbia a chiacchierare. Un po' Wisteria Lane, Far from Heaven o Suburbicon. Storie di coppie e di maschere, per cui si può scegliere di mantenere la prossimità - e dunque, se gli autori e il primo pubblico le vedevano contemporanee, rappresentiamole anche noi come nostre contemporanee - oppure di sfruttare la distanza temporale accumulata nel frattempo come un'altra maschera. Non per pulirci la coscienza guardando compiaciuti da lontano bei vestiti "di una volta", ma per sollevare un dubbio in più su realtà e rappresentazione e non lasciarci tanto tranquilli.

L'intermezzo di Pergolesi si apre in una deliziosa scatola magica, teatrino giocattolo, decorato a I con dettagli di dipinti d'epoca, che si trasforma negli ambienti della dimora di Uberto. Questi è un Pantalone rosso vestito come vuole la tradizione, anche se più giovane e gagliardo del consueto. Serpina è una Colombina dal grembiule a rombi colorati e abito verdino, Vespone (Giorgio Bongiovanni) uno Zanni che borbotta in grammelot. Ma, sorpresa, duecento anni dopo, quando tutto sembra cambiato, l'uomo d'affari Sam è ancora in rosso, la perfetta disperata casalinga Dinah in blusa verde e gonna a rombi variopinti, gli Zanni sono tre: il trio jazz (Melania Maggiore, Manuel Pierattelli, Andrea Porta) che commenta e partecipa all'azione (colleghi, analisti, segretarie…). Forse che le maschere della Commedia dell'arte non sono poi così innocue e lontane? Forse che non indossiamo ancora altre maschere e ripetiamo gli stessi ruoli e gli stessi tipi, non senza sofferenza. Senza sovraccaricare drammaturgie essenziali, Luca Micheletti riesce a dire molto con la sua regia, coadiuvato da Leila Fteita per scene e costumi e Luciano Novelli per le luci.

Anche lui, peraltro, gioca fra i ruoli, ed è interprete sulla scena di Uberto e Sam esattamente come Elisa Balbo (sua moglie nella vita, giusto per aggiungere un ulteriore livelli di sovrapposizione fra realtà e funzioni) è Serpina e Dinah. Entrambi passano con disinvoltura dal travestimento settecentesco a quello novecentesco, dalla maschera della commedia dell'arte a quella della rispettabile middle classe - dopotutto hypokrites in greco sta per attore - da un mondo musicale all'altro, dalle variazioni teatralmente mordenti in Pergolesi (sia dato merito a Balbo di aver così ben animato le sue arie, così come a Micheletti di aver reso il senso del buffo come attore cantante e non come buffone) agli aromi di Musical in Bernstein, drammatico o apparentemente, ostentatamente disimpegnato (e qui pure, le voci indossano il nuovo stile come una seconda pelle).

Delle maschere musicali di occupa sul podio Alessandro Cadario, e lo fa assai bene, lasciando intendere che siamo nel 2021 a vestir panni del secolo scorso o di trecento anni fa, ma che lo facciamo seriamente, senza calcare la mano, cercando di entrare in quel linguaggio. Il cembalo al continuo, ben presente, scandisce il ritmo della commedia, come il meccanismo della scatola magica, ma mantiene il respiro dell'azione e del canto con gli archi, morbidi e leggeri, con la mobilità del fraseggio e delle variazioni intese come gesti sonori nella recitazione, non come vezzi o vuoti doveri filologici. Con Bernstein la continuità è nella discontinuità, vale a dire nel replicare la coerenza e coesistenza di humor e pathos in tutt'altro mondo. Taglienti e ben ritmate le parti dialogate, emotivamente devastante il duetto delle menzogne e dei rimpianti, spassosa la parentesi etilica che sfocia nella cantilena caraibica. Amaro, amarissimo, alla fine, ma con quel mezzo sorriso che fa gustare il dittico tutto d'un fiato. E consigliato, consigliatissimo al prossimo passaggio streaming.