Tosca con poco
di Antonino Trotta
Nella splendida cornice del palazzo Farnese decorato con la tecnica del video-mapping curata da Imaginarium Creative Studio, il Teatro Municipale di Piacenza mette in scena Tosca con un vero poker d’assi: Chiara Isotton, Francesco Meli, Luca Salsi e Sesto Quatrini.
Piacenza, 30 luglio 2021 – Talvolta basta davvero poco per mettere in scena una Tosca: un treppiedi con un quadro diversamente completato che rischi fin da subito di macchiarsi del sangue del suo autore, un lettino per dar ristoro alla primadonna mentre tra spasimi d’ira e d’amore saetta acuti e s’abissa in declamati che trasformano anche le voci d’angelo in orchesse, un palazzo del 1600 sullo sfondo, preferibilmente luogo di rappresentanza della famiglia Farnese, che surclassi in bellezza la più costosa scenografia mai realizzata, quindi tre/quattro pezzi da sant’Ambrogio e Tosca è fatta. Si, in effetti per fare Tosca basta poco solo se a farla è il Teatro Municipale di Piacenza che, oltre a lungimiranza, caparbietà, talento e idee, nel suo sorprendente patrimonio di risorse a disposizione ha un poker d’assi e pure un imponente palazzo farnesiano, cornice ideale al dramma pucciniano, non solo per il nome che porta ma per la molteplicità degli ambienti che è capace di suggerire.
Di fatto la messa in scena di Giorgia Guerra fonda gran parte della propria essenza sulla bellezza naturale del luogo ospite. Se da un lato i giochi di video-mapping curati da Imaginarium Creative Studio decorano la facciata del palazzo rinnovando di atto in atto la suggestività del complesso storico, dall’altro appare molto ben riuscita l’integrazione di tutti gli spazi - illuminati ad arte da Michele Cremona – nella costruzione dello spettacolo. Spettacolo che per il resto si muove pulito nel solco della tradizione, con la consueta attrezzeria di scena disposta sul palcoscenico, i bei costumi di Artemio Cabassi e le attese pose da Tosca che anche nelle produzioni più blasonate assottigliano il crinale tra messinscena e esecuzione in forma di concerto, dove in pratica ognuno mette quanto può o quanto sa.
Ecco, sul palcoscenico Luca Salsi sa e può moltissimo, forse più di tutti. Il suo Scarpia è straordinario. Straordinario non solo per il canto statuario, duttile, imponente, ma straordinario perché il canto statuario, duttile, imponente è sempre edificato e articolato su una parola scolpita nel marmo, una parola penetrante, più affilata della celebre lama, che scava il testo e personaggio, mai monodimensionale, bensì approfondito e reso persino nelle sue più inattese sfaccettature: sembra quasi ascoltarlo struggersi d’autentico amore nel Te Deum, poi nel secondo atto esce fuori la belva, a conferma del fatto che la nobiltà di cui si fregia è in fondo estranea al patrimonio genetico di questo barone di prima generazione.
Francesco Meli si cimenta nella solita impresa: estrarre dal grande repertorio drammatico l’ennesimo eroe di cartone, svecchiarlo e dimostrare che oltre gli acuti c’è molto di più. Non che questi non ci siano, per carità, ma non costituiscono mai, nel bene o nel male, il punto focale della prova, tant’è che Meli ritaglia i suoi momenti laddove gli si presentano le possibilità di esprimersi nel canto amoroso e lirico, di sfumare – qualche volta, a onor del vero, in odor di falsetto – e tingere la linea vocale, di porgere con grazia e legato d’alta scuola un fraseggio sempre fragrante, eroico nell’accezione meno sguaiata del termine. Ne nasce così un artista meno testone, più riflessivo, intelligente, che abbraccia con ardimento i propri ideali pur rimanendo connesso alla realtà che lo circonda, sicché la malinconia che avvolge l’aria e il duetto finale, alla fine, lascia intravedere un Cavarossi poi non così inconsapevole del proprio destino.
Chiara Isotton affronta Tosca con temperamento incendiario: il canto pugnace, prorompente, asseconda l’immagine di una primadonna che non si lascia corrodere da ipocriti rimorsi, che non indugia a indirizzare la mano ferale verso il vuoto petto di Vitellio. Isotton risolve con agio la difficile scrittura: la voce ha un bel colore anche quando declama, è piuttosto omogenea, l’emissione solida e controllata, le discese alla tessitura grave sono ben risolte, il “do della lama” una folgore, sfoggia bei piano perfettamente appoggiati con cui non manca mai di arricchire un fraseggio decisamente volitivo. È vero, rispetto al solito, «Vissi d’arte» potrebbe avere qualche presa di fiato di troppo che inevitabilmente si riflette in un’arcata melodica più frammentaria, inquieta, ma è pur vero che l’attesissima aria arriva dopo una scena vocalmente micidiale (Magda Olivero dixit) e spesso è difficile ritrovare la giusta rilassatezza per cantare questo cinematografico primo piano sulla donna come se niente fosse successo prima.
Molto bene i vari comprimari: Mattia Denti (Angelotti), Valentino Salvini (sagrestano), Andrea Galli (Spoletta), Francesco Cascione (Sciarrone), Simone Tansini (carceriere), Elettra Secondi (pastorello). Ottima la provo del Coro del Teatro Municipale di Piacenza e delle Voci Bianche del Coro Farnesiano di Piacenza, rispettivamente istruiti dai maestri Corrado Casati e Mario Pigazzini.
Di ritorno al Municipale dopo proprio la Tosca del 2019, Sesto Quatrini si conferma tra le giovani bacchette più interessanti del panorama nazionale. Alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana, Quatrini legge il testo musicale con varietà di registri e intavola una concertazione carica di pathos, elegante, che sa infiammarsi nei momenti di maggior eccitazione, vibrare della fragola amorosa o farsi istrionica e leggiadra nei rari momenti di distensione. Mai dimentico del palcoscenico, o del più lontano praticabile che accoglie il coro, con cui instaura una relazione di grande sintonia, Quatrini battuta dopo battuta scandisce il ritmo della narrazione, crea le atmosfera e tempera la tensione del dramma, cominciando così a fare teatro già dal podio.
I calorosi applausi di una platea praticamente esaurita premiano tutti gli artisti con i meritati riconoscimenti. Non ha ricevuto alcun applauso, ma lo merita eccome, il gentilissimo personale di sala che, pur all’aperto, ha invitato il pubblico a non dismettere le mascherine. Del resto Cristina Ferrari, regina tra i direttori artistici italiani, ha or ora offerto all’umanità una concreta ragione per sconfiggere la pandemia: Norma con Angela Meade, Sesto Quatrini e un Pertusi di lusso, un divertentissimo Donizetti più raro di quanto meriti (Le convenienze e inconvenienze teatrali) e Ernani con un inossidabile Kunde. Questa stagione, da ottobre a dicembre 2021, s’ha da fare. Assolutamente.