La Partenope sexy degli anni ‘20

di Valentina Anzani

Ripreso al Teatro Real di Madrid il titolo händeliano nell’allestimento di Christopher Alden. Sabina Portuelas nel ruolo eponimo è affiancata dall'Arbace di Franco Fagioli.

Madrid, 16 novembre 2021 – Il regista Christopher Alden, nella sua versione di Partenope, trasforma la prima regina e fondatrice di Napoli in Nancy Cunard (1896-1965), patrona delle arti e anfitriona della Parigi degli Anni ’20, amica intima di Man Ray e altri noti sperimentatori (e perenni festaioli) coevi. Alden infatti (grazie ai bellissimi, ariosi, ampi spazi creati dallo scenografo Andrew Lieverman e ai vivaci costumi di Jon Morrell) ambienta i fatti in casa Cunard, durante un’indeterminata attività festiva che lì sembra non interrompersi mai: i personaggi si destreggiano tra alcolici e sigarette consumati a volontà e un turbinare di vestizioni, svestizioni, travestimenti, il tutto intrecciato a scene e controscene esilaranti e al contempo drammatiche.

Divertente e dinamico, lo spettacolo di Christopher Alden regge bene il passare del tempo. Gira il mondo infatti da una decina d’anni (coprodotto, nel 2009, da English National Opera, San Francisco Opera e Opera Australia), ma in questa ripresa al Teatro Real di Madrid ha subito cambiamenti rispetto all’originale, soprattutto sul versante musicale. Secondo la prima idea di Alden erano infatti state tagliate alcune arie dell’originale Partenope händeliana, ora invece ripristinate dall’acribia del direttore Ivor Bolton, anche se non sempre inserite nel loro originario contesto (come l’aria cantata da Arbace nel terzo atto, che appare come una finta aria di sonno).

La lettura di Ivor Bolton è corretta ed entusiasta, per quanto le dinamiche risentano dell’imponente volume di suono che gli strumenti moderni dell’Orchestra del Teatro Real inevitabilmente producono rispetto alle sonorità altrimenti previste da un’esecuzione con strumenti antichi. Il volume eccessivo influisce anche e soprattutto sull’esecuzione vocale, poiché costringe i cantanti a sforzi notevoli perché la voce superi la muraglia di suono proveniente dalla buca orchestrale, spesso risultando, per quasi tutti gli interpreti, in una perdita di rotondità, di armonici e di brillantezza timbrica. Allo stesso modo costringe in certi passaggi a un’interpretazione definibile “di stampo romantico”: troppa veemenza, troppa aggressività nelle arie guerriere, troppa disperazione in quelle di gelosia, in un’espressività tanto lontana dagli affetti barocchi, per i quali le varie passioni di “guerra”, “furia”, “gelosia” o “invidia” sarebbero espresse intrinsecamente nella scrittura orchestrale e nel porgere degli accenti più che nell’impeto dell’emissione vocale.

E quando invece Bolton tiene a bada i suoi musicisti, quando le arie richiedono dei pianissimi, allora sì che in scena i cantanti appaiono per come li si conosce e ci si aspetta. Gli intrecci d’amore si incuneano l’un l’altro in un susseguirsi divertente e leggero di gelosie, ritrosie, rancori e perdoni. Così Partenope (Sabina Puértolas), a tratti eccessiva nella caratterizzazione macchiettistica dell’anfitriona, assistita nelle sue volatili passioni dallo spassosissimo Ormonte di Gabriel Bermudez, si innamora e disamora a turno di tre pretendenti. Rosmira (una Daniela Mack credibilissima en travesti) si riprende Arbace (e Franco Fagioli nei panni di questi, anche se a tratti perde coerenza nel timbro, si conferma perfetto attore e interprete dall’estensione e agilità incredibili). Infine, il timido Armindo (interpretato da un Christopher Lowrey che canta letteralmente sospeso in acrobazie notevoli, caratterizzando il suo personaggio come un Mr Bean ante litteram) la spunterà su questi e sull’Emilio di Juan Sancho, e finirà per impalmare l’amata Partenope.

Il dinamismo visivo bilancia le pecche sul piano vocale, e lo spettacolo in definitiva piace e diverte.