Il trionfo di Iuditha

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, in una serata unica, propone Iuditha Triumphans devicta Holofernis barbarie RV 644, oratorio di Antonio Vivaldi. La direzione è affidata a un vivaldista d’eccezione, Federico Maria Sardelli; l’orchestra è l’eccellente Accademia Barocca di Santa Cecilia; fra i solisti spiccano Ann Hallenberg nel ruolo del titolo e Vivica Genaux in Holofernes.

ROMA, 24 novembre 2021 – Mirabile esempio della scrittura lirica di Antonio Vivaldi, la Iuditha Triumphans manca da più di un ventennio dai cartelloni dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Che un oratorio come la Iuditha stia finalmente entrando più stabilmente nei repertori delle istituzioni musicali è merito del fenomeno, ampio e variegato, della baroque renaissance, che sta riportando alla luce – finalmente – capolavori musicali del tutto sconosciuti. Ad eseguire la partitura vivaldiana è l’Accademia Barocca di Santa Cecilia, il cui livello di perizia è apprezzabile persino nel dettaglio, visto il numero di strumenti solisti che emergono dal tessuto di accompagnamento della partitura per dialogare con le voci nelle arie, appunto, con strumenti obbligati.

A dirigere un oratorio corposo, che presenta più di una pagina di valore assoluto e che promana un fascino innegabile, è Federico Maria Sardelli, uno dei massimi esperti mondiali della musica di Vivaldi, nonché suo editore ed esecutore di opere più o meno note, alcune persino in prima mondiale. L’operazione di Sardelli è quella di rarefare il suono, badando ai più minuti particolari della partitura, presentando un’esecuzione stilisticamente uniforme. Tale scelta è quanto mai azzeccata nei passaggi in cui l’orchestra accompagna le voci, giacché il suono non copre mai l’esecuzione vocale degli interpreti; in alcuni passaggi di maggior tensione drammatica (come quelli corali e taluni momenti strumentali), Sardelli sceglie comunque la via di un suono uniforme, appunto rarefatto, donando un’interpretazione più ‘spirituale’ che ‘carnale’ della partitura vivaldiana. Si può o meno essere d’accordo, su un piano estetico, con un tale tipo di approccio; ciò che va sottolineato, comunque, è l’uniformità e la coerenza estetica che Sardelli pone nell’esecuzione.

Il cast vocale è di prim’ordine, presentando nomi assai noti nei ruoli principali. Il ruolo di Iuditha è interpretato da Ann Hallenberg, che profonde nell’esecuzione tutto il gusto del fraseggio, le sue abilità di colorista, giocando con tutti i registri per rendere al meglio i vari sentimenti della protagonista. A mo’ di esempi possono citarsi le arie «Vivat in pace, et pax regnet sincera», dove la Hallenberg dà mostra delle sue doti di tessitrice di dolcezze, e la drammaticissima «In somno profundo», l’aria della decapitazione di Oloferne, in cui l’interprete cavalca tutte le impetuose emozioni della protagonista, raggiungendo l’apice proprio nel momento della decapitazione («Deus, in nomine tuo, scindo cervicem») – scatenando, inoltre, un applauso sincero dal pubblico. Il ruolo di Holofernes è interpretato da Vivica Genaux, la quale possiede una voce piena, vibrata, caldissima, assai adatta a un ruolo en travesti. Con piglio marzialmente virtuosistico esegue la sua aria di apertura, «Nil arma, nil bella», ma a seconda del bisogno si cala perfettamente nei panni dell’amante dolce, privilegiando tavolozze di colori più delicati, come nel gioiello d’aria che è «Noli o cara te adorantis». Giorgia Rotolo canta l’eunuco Vagaus, dando prova di versatilità vocale, precisione nelle fioriture e gusto autenticamente barocco; l’interprete non solo si lascia apprezzare quando fraseggia con estrema dolcezza, come nella placida «Umbrae carae, aurae adoratae», ma anche quando slancia la voce nella splendida «Armatae face et anguibus», talmente virtuosistica e spettacolare da strappare un applauso al pubblico in sala. Francesca Ascioti canta un fulgido Ozias; dotata di una voce prorompente e voluminosa, la Ascioti fa benissimo nelle sue due arie, lasciandosi molto apprezzare. Infine, il personaggio di Abra è cantato da Rui Hoshina, soprano dotato di una voce delicata e soave, ancorché poco potente; si lascia apprezzare nella sua performance, in particolare nell’aria «Si fulgida per te». Alla fine dell’esecuzione dell’oratorio, il pubblico applaude calorosamente, riconoscendo a buon diritto l’eccellente lavoro fatto da orchestrali, direttore ed interpreti.